Per una ragione o per l’altra non è che ne abbia passati tanti di Natali scintillanti e patinati come quelli delle pubblicità
Il mio è un Natale… attonito.
Sì, se proprio devo affibbiare un’etichetta a questo Natale in dirittura di arrivo lo definirei proprio così: attonito.
Attonito per una serie di svariati motivi. Il principale dei quali, per coloro i quali come me hanno scavallato l’apex della propria esistenza e più o meno rapidamente si dirigono verso la discesa finale, si compendierebbe nella frase: “Beh, ne ho visto un altro. Sono ancora vivo”.
Nonostante tutto quel che si è vissuto. Nonostante la pandemia e quant’altro. Nonostante tutto e tutti.
Sgomberiamo subito il campo da un equivoco concettuale: sono tra coloro che si peritano di ricordare che l’umana specie nell’ultima settimana di dicembre celebra e festeggia la nascita di una dozzina di divinità. Noi, per latitudine e periodo storico di nascita, ci ritroviamo prevalentemente a vivere quella cristiana; ma ciò non toglie che si sia legittimati a fingere che non esistano anche i Natali degli altri.
Il periodo in questione è quello in cui il Sole, con la sua Luce, inizia a riprendere vigore e durata.
Se ne accorsero gli Uomini già nell’antichità e dall’epoca è stato escogitato di tutto perché questo evento fosse ricordato e celebrato con la dovuta enfasi. Che poi lo si faccia utilizzando l’immagine di un San Nicola (so quel che dico: sono di Bari) vestito con i colori sociali della Coca-Cola non mi scandalizza più di tanto.
Il Natale sta alla Astronomia come l’Amore sta alla Chimica dei neurotrasmettitori: cos’altro credevate che fosse?
Ma è meglio che mi fermi qui con queste considerazioni, che rischio di allontanarmi dal tema, come mi capitava sovente (vero, Direttora Caterina ?) con i miei compiti di italiano a scuola.
La traccia, se l’ho compresa bene, riguarda il “mio” Natale. Non quello che mi circonda, quello degli altri.
E anche qui, mi vedo costretto a divergere dalla comune percezione di questa festività. Per come l’ho vissuta personalmente non potrebbe essere altrimenti.
Il Natale della mia infanzia era tutt’altro che rassicurante e gioioso. Ci si riuniva, effettivamente, in famiglia: ma quel benedetto cenone ci metteva poco a trasformarsi in incubo. Gli adulti erano tutti, chi più chi meno, portatori di proprie invincibili frustrazioni che li conducevano immancabilmente a trascinarsi in stucchevoli polemiche e accesi litigi.
Il tutto urlato a volume esasperatamente alto. Altro che tombolate e giochi di società.
Noi piccoli cuginetti, ne subivamo immancabilmente le conseguenze: talvolta anche sul piano materiale. Non scordiamo che il periodo a cui mi riferisco, i primi anni del sesto decennio del secolo scorso, non garantiva i più piccoli né dai ceffoni educativi, tantomeno li rendeva estranei anche alle più controverse diatribe familiari.
I “grandi” pensavano che in fin dei conti anche quelle scenate servissero a farci crescere, ma non potevano immaginare a quale prezzo.
Nel corso della mia vita da adulto, poi, Natale e Capodanno li ho spesso vissuti lontano di casa per motivi di servizio.
Ricordo quelli del 1991 e del 1992 a Valona (Albania). E quello del 1993 a Chimoio (Mozambico) dove peraltro eravamo in piena estate, tanto da piazzare l’’alberello con le decorazioni a bordo piscina.
Successivamente trascorsi le festività natalizie nel 2000 a Pristina e nel 2006 a Belo Polje, entrambe in Kosovo.
E ancora altri in giro per il pianeta.
Insomma, per una ragione o per l’altra non è che ne abbia passati tanti di Natali scintillanti e patinati come quelli delle pubblicità. Ma, a ben pensarci, li ho comunque vissuti.
Ed ora, cercando di non rivangare troppo sui precedenti, mi appresto trascorrerne un altro.
Attonito.