Le “perdute” sono le nostre antenate e sorelle, piegate e stritolate, anche le più forti tra loro, dalla violenza, dal pregiudizio, dalle convenzioni, dalla dimenticanza con cui gli uomini hanno perpetuato crimini che attraversano ogni luogo e ogni tempo, fino al nostro.
di Pina Arena
Mentre procedo nella lettura del Labirinto delle perdute, immagino lo sguardo luminoso di Ester Rizzo (autrice del libro) nel momento in cui ritrova un nome di donna prima invisibile o una storia cancellata, mentre tesse tenacemente il filo di storie femminili, sciogliendo nodi, grandi e piccoli, percorrendone la trama con mani sapienti, con mente determinata. Proprio come Arianna nel Labirinto.
Scavando in luoghi diversi, periferici e inusuali, l’Autrice percorre carte degli archivi della Polizia, dei tribunali, dei manicomi, dei conventi, anche epistolari privati, entra nell’oscurità con un obiettivo chiaro: ricostruire un racconto storico che renda giustizia e una luce postuma alle donne “perdute” e consenta a noi e alle generazioni future di ridisegnare un mondo in cui la metà dell’umanità, le donne, non sia capro espiatorio del malsano disegno patriarcale, ma creatore di un mondo diverso da quello che viviamo.
Per questo motivo, nell’opera si sente un fremito di dolore, di indignazione, di desiderio di rendere giustizia alle “perdute” e a noi: perché in quelle storie ci sono pezzi di ciascuna di noi, che siamo comunque le figlie e le eredi di quella storia e di quelle storie.
Le “perdute” sono le nostre antenate e sorelle, piegate e stritolate, anche le più forti tra loro, dalla violenza, dal pregiudizio, dalle convenzioni, dalla dimenticanza con cui gli uomini hanno perpetuato crimini che attraversano ogni luogo e ogni tempo, fino al nostro.
Ci sono le donne vittime di stupro di guerra, di ogni guerra, dall’antichità: numeri impronunciabili, e naturalmente approssimativi (chi le ha contate? quante avranno avuto la forza di denunciare?) di vite segnate dalla violenza collettiva che elimina la responsabilità individuale di uomini vili.
Ci sono le bambine mancanti, e sono cento milioni almeno nei paesi dell’Asia, dal Pakistan alla Cina, cancellate con un piano micidiale di “ingegneria demografica” che le uccide neonate o ancor prima che nascano con la pratica degli aborti selettivi dei feti femminili.
Ci sono le “disonorate” perseguitate ed emarginate per tacitare la vergogna. Un nome: Leonie D’Aunet, viaggiatrice e autrice di racconti di viaggio, inchiodata dallo stigma dell’adulterio che la colora di nero, cancellando la memoria delle sue opere e meriti intellettuali.
Ci sono le “veneri vaganti”, le prostitute irregolari e le streghe d’ogni luogo del civile Occidente inchiodate dall’inquisitore e dall’ignoranza che è la prima sua arma.
Ci sono le bambine afghane vendute come mogli per saldare i debiti familiari; ma ci sono anche le combattenti Zoya e Latifa che, forti di cultura e dell’esempio delle madri, scelgono il rischio dell’esposizione per la libertà.
Ci sono le combattenti per la libertà dalla povertà. Un mondo migliore l’hanno fatto anche loro, accanto agli uomini e con sacrificio più forte di quello preteso dagli uomini. Penso alla popolana Febronia Vespa che battaglia per il lavoro che dà libertà, che è anima e cuore del movimento contadino siciliano nel dopoguerra, che partorisce nei campi di grano il quinto figlio e non demorde nella battaglia per il pane e la dignità, per sé e per i suoi figli.
Ci sono le libere pensatrici: penso a Livia De Stefani, poeta e scrittrice palermitana, che dovrebbe stare nelle nostre storie della letteratura italiana, ma è stata castigata per la sua irriverenza verso i codici d’onore di una società maschilista e serva della mafia. Lei osò alzare la testa e loro gliela fecero abbassare.
Tutte perdute. Fatte annegare nel silenzio, lasciate senza voce, ed Ester Rizzo ora , sulla scia di un lavoro di ricerca aperto da anni con editore palermitano Navarra, le prende per mano per farle riemergere. Con lei è Marinella Fiume, autrice del Dizionario Siciliane e, qui, di una prefazione in cui si sentono passione e indignazione, fiducia nel lavoro delle donne che ridanno vita alle altre donne, piacere del racconto e consapevolezza della sua forza rivoluzionaria.
E noi con Ester Rizzo e Marinella Fiume, loro grate, siamo qui a rileggere la nostra storia ed il nostro mondo, a ritrovarci, sicure che insieme risaliremo.