di Adriana Perrotta
In questo tempo orribile di guerra riporto le riflessioni della scrittrice premio Nobel Svetlana Aleksievich,
contenute nel mio saggio “Donne e guerre. Visibilità/invisibilità delle donne nelle guerre”*
Aleksievich ha condotto per 20 anni interviste alle donne che hanno partecipato alla II guerra mondiale, in tutti i reparti-aviazione, fanteria, genio, riportandone sempre sentimenti in disaccordo con il “Mito dellaVittoria”, il suo libro fu rifiutato dagli editori perché dava un’immagine troppo brutta della guerra, dei suoi odori sgradevoli, dei sapori della violenza.
Solo dopo la perestroika di Gorbaciov fu possibile pubblicarlo.
Svetlana Aleksievich fa un’operazione singolare, scrive un libro di narrazione di guerra femminile.
La ricerca è durata sette anni, il libro è stato pubblicato quasi vent’anni dopo la sua* stesura, al tempo della perestrojka di Gorbaciov, perché prima era censurato con il pretesto che la guerra raccontata era troppo spaventosa, troppi orrori e troppi dettagli naturalistici, in una parola non era la guerra giusta, da tramandare, bisognava invece parlare dei gesti eroici, non infangare tutto rimestando nel sudiciume e nella biancheria intima, in questo modo si sminuivano le donne, riducendole a donne comuni, a femmine.
“…Avverte Aleksievich
Scrivo un libro sulla guerra… Io che non ho mai amato leggere i libri di guerre benché per tutta la mia infanzia e adolescenza fossero le letture preferite di tutti…E non c’era niente di strano: non eravamo forse i figli della Vittoria? I figli dei vincitori? … c’erano già state migliaia di guerre, grandi e piccole, note meno note. E i libri che le avevano narrate erano ancora più numerosi. Ma… erano libri scritti da uomini e parlavano di uomini… Tutto quello che sapevamo sulla guerra c’era trasmesso da voci “maschili”. Siamo tutti prigionieri di una rappresentazione “maschile” della guerra. … nelle narrazioni delle donne non c’è, o non c’è quasi mai, ciò che siamo abituati a sentire…i racconti femminili parlano d’altro. La guerra “femminile” ha i propri colori, odori. una sua interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti. E anche parole sue.… E a soffrir non sono solo loro (le persone!), ma anche i campi, e gli uccelli, e gli alberi[1] .
Le intervistate sono donne che hanno prestato la loro opera nell’esercito sovietico in tutti i settori, sia sul fronte che nelle retrovie, ci sono voluti molta pazienza e molti incontri ripetuti perché le donne si liberassero nelle loro interviste del controllo maschile, sia interiorizzato che esplicito di mariti e compagni, che raccomandavano Racconta come ti ho insegnato. Senza lacrime e stupidaggini.
Così si va dalla autista di mezzi militari che ebbe tre corvè di punizione perché al ritorno da un’esercitazione aveva abbellito il suo fucile con un mazzo di violette, alla donna che ricorda di avere impiegato tre anni per riadattarsi alle scarpe e alle gonne, dopo aver passato tanto tempo con stivali e abbigliamento militare.
Riporto come esempio qualche brano di interviste:
È notte… Sono lì per svegliarmi e mi sembra di sentire qualcuno che piange accanto a me nell’oscurità…Sono io alla guerra… Stavamo ripiegando su tutto il fronte…. Superata Smolensk una donna mi regala un suo vestito, riesco a cambiarmi. Cammino sola… tra gli uomini. All’improvviso, le mie “cose”… Sono arrivate in anticipo, senz’altro a causa dell’agitazione, del tormento dell’umiliazione. Dove trovare ciò che mi serviva? Una vergogna! Come mi vergognavo! … Mi hanno preso prigioniera. Ma prima, proprio l’ultimo giorno, ho avuto per giunta le gambe fratturate, non potevo alzarmi dal mio giaciglio e mi sporcavo sotto[2] .
Ancora
…All’improvviso si è incendiata la parte di prora… Il fuoco è corso veloce per la tolda. È esploso il deposito delle munizioni… così i soldati si sono gettati in acqua per raggiungerla a nuoto [la riva] … e dalla riva hanno cominciato a crepitare le mitragliatrici nemiche. Io sapevo nuotare bene e volevo salvare almeno ferito… Sento che qualcuno accanto a me si dibatte, ora emerge dall’acqua, ora fonda di nuovo. Sono riuscita ad afferrarlo… Era freddo, scivoloso…Ho pensato fosse un ferito investito dallo spostamento d’aria dell’esplosione… Io stessa ero quasi svestita… avevo indosso la sola biancheria… Un buio impenetrabile…. E attorno solo gemiti e imprecazioni. In qualche modo ho raggiunto con lui la riva. … E proprio in quel momento un razzo illuminante è esploso in cielo e ho potuto rendermi conto che avevo abbracciato e portato a riva un grosso pesce ferito. Un grosso pesce della statura di un uomo. Uno storione beluga… Stava morendo. Mi sono accasciata accanto a lui maledicendo piangendo… Per gli inutili sforzi… Ma anche per quella sofferenza che accomuna tutti viventi[3]…
Un’altra testimonianza
Sono arrivata fino a Berlino con le truppe…Sono rientrata al mio villaggio con due ordini della Gloria e altre medaglie. Ci ho trascorso tre giorni e il quarto, di buon’ora, mamma mi ha fatto alzare intanto che tutti dormivano. “Figliola, ti ho preparato un fagottino. Va… va. Hai due sorelle minori che stanno crescendo. Chi le vorrà sposare? Tutti sanno te sei stata al fronte per quattro anni, in mezzo agli uomini” …Ma mi risparmi tutto questo, non mi tocchi l’anima. Scriva piuttosto, come tutti gli altri delle mie onorificenze[4].
Infine
Ero un’addetta alle mitragliatrici. Ne ho ammazzati talmente tanti… Dopo la guerra per molto tempo l’idea di avere dei bambini mi spaventava. Ne ho potuto avere solo quando mi sono un po’ calmata: Dopo sette anni… Ma neanche adesso ho perdonato. E non ho intenzione di perdonare niente… Mi rallegravo per come erano conciati, da far pena solo a vederli: i piedi avvolti in stracci, e la testa pure… Li facevano sfilare attraverso il villaggio e imploravano: “Madre, dammi da manciare”… e mi stupivo al vedere le contadine che uscivano delle loro casupole per tender loro chi un pezzo di pane, chi una patata… I ragazzetti correvano lungo la colonna e gettavano sassi…E le donne piangevano…
Mi sembra di aver vissuto due vite: una maschile, l’altra femminile[5].
Per concludere
Sono un’insegnante di storia. Per quanto mi ricordo, il sussidiario di storia è stato riscritto tre volte. Io ho insegnato la storia ai bambini attenendomi al primo, al secondo e al terzo …Chieda a noi, finché siamo vivi. Non trascriva poi senza di noi. Continui a far domande. Sapesse com’è difficile uccidere una persona…Io lavoravo nella resistenza clandestina. Dopo sei mesi mi hanno affidato una missione: farmi assumere dai tedeschi come cameriera alla mensa ufficiali… Ero giovane, bella… Mi hanno presa. Avrei dovuto mettere del veleno nella pentola della zuppa e il giorno stesso raggiungere i partigiani. Ma mi ero ormai abituata a loro, e anche se erano nostri nemici quando li vedi ogni giorno e ti dicono Danke Shon… Danke Shon… diventa tutto più complicato… Uccidere può fare più paura che morire. Ho insegnato storia per tutta la vita …E non ho mai saputo come raccontare tutto questo. Con quali parole[6].