Abbiamo già intervistato anni fa Iole Natoli sul cognome materno ma i tempi allora non erano ancora maturi. Oggi lo rifacciamo perchè la situazione di stallo sembra essersi sbloccata e Iole è una profonda conoscitrice del tema.
D, Iole, ti occupi da ben 43 anni dell’assurda assenza del cognome materno in quello dei figli. Finalmente sembra che anche in Italia qualcosa si sia ottenuto, non grazie al Parlamento ma alla recente pronuncia della Corte Costituzionale, di cui abbiamo letto il comunicato del 27 aprile e attendiamo di vedere il testo integrale. Cosa pensi di questa sentenza?
R. Tutto il bene possibile questa volta, diversamente dalla precedente. Abbiamo patito e lottato per molti decenni ma paradossalmente l’effetto dell’inazione delle varie legislature ha creato qualcosa di positivo. Con una legge che non fosse stata successiva alla sentenza si sarebbe sostituita una normativa a un’altra di pari legittimità. Una sorta di aggiornamento per “mutamento del costume sociale” intervenuto, quasi un contentino ineliminabile per le donne. Ora la legge che verrà sarà L’UNICA che avrà titolo di normativa legittima, perché l’intera situazione precedente è stata spazzata via dalla sentenza. La patrilinearità nella nostra Repubblica NON È MAI STATA LEGITTIMA e questa conclusione ufficiale per me ha un valore enorme, anche a titolo personale.
Significa infatti che tutte le resistenze all’attribuzione del cognome materno sono state illegittime e prevaricatrici… come molte di noi (e qualche rarissimo uomo) sapevano già e denunciavano da tempo.
Una conseguenza importante e immediata della sentenza è che adesso nessun giudice potrà più togliere, com’è accaduto vergognosamente in passato, il cognome materno a una figlia o a un figlio registrato alla nascita con quel cognome, solo perché il padre biologico decide di riconoscerlo successivamente e vuole cambiare le carte in tavola. Com’è probabile, però, in questi casi il cognome paterno verrà aggiunto, con eccezione delle situazioni di indegnità.
D. Intanto al Senato erano già in discussione alcune proposte per superare l’automatismo dell’attribuzione del solo cognome paterno, dovuto a una serie di norme concorrenti ma non specifiche. Trovi che siano proposte valide?
R. Premetto che delle sei proposte iniziali ne sono rimaste in Senato solo cinque, dopo che la senatrice Maiorino ha ritirato la sua, e che queste proposte si differenziano anche in merito al cognome dei coniugi. Mi sembra però più utile soffermarmi solo sugli articoli che riguardano il cognome dei figli, dato che è su questo argomento specifico che si è pronunciata la Corte costituzionale, spesso intesa come “la Consulta”.
Ad eccezione della proposta Binetti che prevede solo il doppio cognome – cosa che la rende inappropriata anche rispetto al contenuto della recente sentenza della nostra Corte -, le altre quattro hanno tenuto nel dovuto conto la sentenza del 2014 del Tribunale CEDU di Strasburgo, espressione giudicante della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato l’Italia per non aver permesso a una coppia di genitori di attribuire alla prole il solo cognome della madre (caso Cusan e Fazzo).
Esse hanno dunque previsto sia l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori sia l’attribuzione del cognome singolo, senza distinzione legata al sesso. Cambia però la formulazione adottata da ciascuna, in un modo che risulta significativo.
D. Cosa cambia nello specifico?
R. La mia attenzione è puntata sulle scelte linguistiche, che svelano una differente impostazione.
Per De Petris, Garavini e Unterberger i genitori, coniugati o meno, all’atto della dichiarazione di nascita del figlio possono attribuirgli, secondo la loro volontà, il cognome “del padre” o quello “della madre” o quelli “di entrambi” nell’ordine concordato.
Per Malpezzi, al figlio è attribuito il cognome “di entrambi” i genitori nell’ordine dagli stessi indicato o il cognome “del padre” o il cognome “della madre”, secondo le dichiarazioni rese all’ufficiale dello stato civile.
Questo al Senato.
Per Dadone, i genitori di comune accordo possono scegliere il “cognome di uno” o “dell’altro” o “entrambi i cognomi”, affiancati secondo l’ordine da loro scelto, ma la sua Proposta è alla Camera e non al Senato, quindi non è valutabile in rapporto al testo unico a cui arrivare. Ciò non esclude che Dadone possa proporre un emendamento coerente alla sua posizione, una volta che il testo unico eventualmente approvato sarà esaminato, come d’obbligo, alla Camera.
Qualcosa di analogo aveva fatto in Senato Maiorino, ma come detto la senatrice ha ritirato la proposta divenendo correlatrice del testo unico.
Dall’analisi dei dati disponibili e circoscritti al Senato emerge che:
1. la prima possibilità presentata è quella del cognome singolo e non di quello di entrambi, in tre casi sui quattro che il singolo lo prevedono. Questo ha per effetto neanche tanto leggero di orientare la coppia genitoriale verso il cognome unico – e la consuetudine giocherebbe a favore del padre – e non verso il cognome di tutti e due i genitori. Se adottata in Senato, o eventualmente introdotta con un emendamento alla Camera, questa priorità enunciativa del cognome unico a scelta rispetto al doppio cognome favorirebbe la mancata presa di coscienza, sia delle donne sia degli uomini, delle novità profonde che la nuova legge deve introdurre, oltre ad essere contraria a quanto stabilito in sentenza dalla nostra Corte;
2. nella presentazione del cognome doppio, in quattro casi sui cinque che definiscono la sequenza dei cognomi nel doppio, quello del padre è indicato PRIMA del cognome della madre (fa eccezione Binetti, che utilizza una formula neutra) e ciò benché l’ordine alfabetico sia l’idolo di tutt’e cinque le proponenti, che non pensano di poter risolvere l’eventuale dissidio sulla sequenza in qualche altro modo. Bene, com’è noto a chiunque, nell’ordine alfabetico la M di Madre precede la P di Padre. A che cosa attribuire dunque questa “sconfessione” dell’ordine alfabetico sacro, che diviene un condizionamento subliminale? Al tentativo, più o meno inconscio, di non allarmare troppo gli avversari – e in Parlamento, persino nella stessa Commissione, ce ne sono non pochi – suggerendo che una continuità col sistema precedente può esistere. Questo è un madornale vizio d’impostazione che la sentenza HA SPAZZATO VIA, senza se e senza ma, e noi donne esigiamo che tale aggancio a un passato che la Corte ha dichiarato ILLEGITTIMO venga eliminato dal testo unico che dovrà essere approvato.
D. Perché una legge che normasse in maniera paritaria il cognome dei figli in Italia non è mai stata approvata, benché il primo tentativo parlamentare, poi seguito da altri, risalga al 1979? Quali i motivi?
R. Chi volesse prendersi la briga di leggere sul sito di Camera e Senato le obiezioni avanzate in Parlamento nelle ultime tre legislature (includendo nel novero anche questa) allorché si è cominciato a discutere di una legge da predisporre e varare, rimarrebbe oggi esterrefatto dalla bassezza delle argomentazioni addotte. L’ipotesi di perdita del cardine su cui il potere maschile si è retto nell’ambito familiare e sociale ha terrorizzato le forze reazionarie sino al limite del ridicolo e ha bloccato ogni possibilità di riforma.
D. Eppure l’assurdità della prassi corrente emergeva ancora più nettamente in presenza di separazioni e divorzi, perché i figli affidati alla madre non avevano nemmeno la possibilità di veder rappresentata l’unità familiare attraverso un cognome che li legasse all’unico capofamiglia rimasto, la madre.
R. Caterina, il tuo “eppure” presuppone una ragionevolezza che invece non c’è mai stata nel nostro sistema sociale, soverchiata e annullata dalla prevaricazione volontaria nei
confronti delle donne non da parte del singolo, che in questo non aveva diretta voce in capitolo, ma di un sistema profondamente patriarcale che adesso la nuova sentenza ha abbattuto.
D. Già una precedente sentenza della Corte costituzionale, la 286 del 2016, aveva reso possibile che si affiancasse il cognome materno a quello del padre, qualora entrambi i genitori fossero stati d’accordo. Perché si è resa necessaria una nuova pronuncia, cosa mancava nella precedente che rendesse archiviabile il problema?
R. Quella è stata una sentenza importante ma ambivalente, la prima dopo la decisione della Corte di Strasburgo che ha posto paletti precisi e non aggirabili. Va considerato, preliminarmente, che la Corte costituzionale ha atteso inutilmente per anni che il Parlamento, unico organo cui spetta l’iniziativa di una legge, si decidesse a normare la materia. Proprio per non invadere il campo del Legislatore, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul caso di una coppia che di comune accordo aveva chiesto di poter attribuire entrambi i cognomi alla figlia, ha ritenuto di dover limitare il suo intervento allo stretto necessario e, dopo una lunga e importante disamina dei vantaggi per ogni figlio di fruire di riferimenti identitari completi nel corso del suo sviluppo, ha sentenziato nel 2016 che in caso di accordo tra i genitori non sussistesse nessuna ragione legittima per impedire che i figli assumessero i cognomi di entrambi.
D. Quindi si è trattato di una soluzione parziale, limitata cioè all’accordo per un doppio cognome, e non dell’azzeramento del problema?
R. Certamente, ma c’è di più. Non soltanto restava irrisolto il caso dell’attribuzione del solo materno ma per la prima volta, dopo la riforma del 1975, il volere della madre veniva subordinato a quello del padre. Fino ad allora, nessuno dei due genitori avrebbe potuto decidere dell’attribuzione del materno, quale singolo o quale elemento del doppio, perché attraverso la “norma implicita” del nostro ordinamento lo Stato aveva deciso al posto loro, con un indubbio vantaggio per il padre reso strumento e alleato dell’assetto di matrice patriarcale. Con la sentenza del 2016, però, la volontà di attribuire anche il proprio cognome al figlio veniva subordinata all’accordo e dunque al volere del padre, attribuendo per la prima volta all’uomo un potere decisionale in questo campo e creando una lesione dell’uguaglianza morale e pratica tra i genitori, prevista dalla nostra Costituzione. Insomma, per timore di fare troppo, la Corte aveva fatto troppo poco, cadendo essa stessa, per paradosso, in un caso di incostituzionalità manifesta. Con quest’ultima pronuncia invece, la discriminazione prevaricatrice a vantaggio del maschio, nonché l’eccesso di potere dello Stato, che si era sostituito al diritto della coppia nella gestione della vita privata, sancito dall’art. 8 della CEDU, sono stati sradicati dal nostro codice civile.
D. Cosa dobbiamo aspettarci che faccia adesso il Parlamento?
R. Che non rinvii ancora una volta alle calende greche l’approvazione di una legge e al tempo stesso che adotti una formulazione rispondente ai principi stabiliti dalla Corte, che ha scelto la dizione più equa e utile possibile, per impedire che al figlio venga sottratta da una normativa escludente la possibilità di sviluppare un’identità armonica e completa, nonché per evitare che la prassi illegittima precedente uscita dalla porta rientri in una qualche misura dalla finestra, facendo supporre che tutto possa continuare come prima.
Il fatto che il doppio cognome rappresenti la regola base che non necessita di accordo, se non per l’ordine secondo il quale attribuire i due elementi, non può venire eluso in nessun modo. Questo significa che tutte le donne diverranno immediatamente consapevoli del loro diritto di esser presenti nel cognome dei figli e delle figlie, senza che qualcuno tale diritto possa sognarsi minimamente di occultarlo.
La formulazione neutra fornitaci dalla Corte va “ricopiata” per intero, a meno che, in omaggio all’innegabile realtà che alla nascita fa della madre l’unico genitore che abbia una relazione psico-fisica già in corso coi figli (principio di prossimità neonatale), non si decida di adottare per l’ordine nel doppio cognome – indicato anche nella mia Petizione del 2018 come regola base, all’art. 5 – l‘anteposizione del materno, salvo diverso accordo dei genitori, o salvo la manifestazione di un dissenso tra i genitori sull’ordine dei cognomi, risolvibile col sistema lussemburghese del sorteggio.
C’è da sperare che il Parlamento ora corra, perché finché non ci sarà una normativa adeguata alla decisione della Consulta alcune situazioni che ne derivano avranno inevitabilmente una soluzione più complessa di quanto occorra. Per fare un esempio, il disaccordo sulla priorità di uno degli elementi nel doppio cognome al momento può essere risolto solo col ricorso al giudice, mentre con una norma di legge diverrebbe competenza del funzionario dell’ufficio anagrafe, senza complicazioni burocratiche di sorta.
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La Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre (…) pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.