“La donna che cammina sulle ferite dei suoi sogni”: questo il titolo dell’ultimo articolo da me scritto su Letizia Battaglia per Dol’s
Era il mese di aprile del 2016 e ai Cantieri Culturali della Zisa a Palermo avevo visitato una sua mostra: centoquaranta fotografie, in bianco e nero, appese a cavi invisibili.
Fu per me come camminare su una parte di storia della città di Palermo.
Una città martoriata, divisa tra l’odio feroce e inarrestabile della mafia e il dissenso dei cittadini onesti.
Scrissi: ”… una città delle donne che piangono, dei giochi dei bimbi nei rioni più degradati, della miseria delle famiglie nelle baracche…le sue foto in giro per il mondo hanno sempre testimoniato la sua sete di giustizia. Il suo sguardo sui morti e sui luoghi della guerra di mafia ci impedisce di dimenticare, di archiviare il ricordo di vittime e carnefici. Sono immagini che entrano negli occhi per poi scendere al cuore e imprigionarlo in una morsa di ghiaccio”.
Quell’articolo, scritto prima di averla conosciuta personalmente, l’ho riletto oggi con emozione.
Quando il 13 aprile Letizia ci ha lasciati, la direttora Caterina della Torre, essendo al corrente della mia conoscenza personale con la grande fotografa, mi chiese se desideravo scrivere un “pezzo” su di lei.
Le risposi che non mi sentivo pronta, perché, oltre al rammarico, sapevo che in quel momento fiumi di parole si sarebbero riversati su Letizia Battaglia, tutti i riflettori sarebbero rimasti accesi per alcuni giorni.
Sentivo che sarebbe arrivato il momento in cui, per me, sarebbe stato spontaneo scrivere di lei. Non un articolo ma un personale ricordo.
E il momento è arrivato: sono andata ai Cantieri Culturali della Zisa e ho visto l’intitolazione del viale a lei dedicato. Il suo nome era là, ancorato nel luogo dove lei aveva passato tanto del suo tempo, insegnando anche a bambine e bambini che non ne avevano la possibilità economica, l’arte, l’essenza, la magia della fotografia.
Avevo assistito un pomeriggio ad una di quelle lezioni. Aspettavo di farle visionare alcune foto di donne scattate in giro per il mondo per allestire un’eventuale mostra. Ne avevamo parlato e lei mi aveva detto:” scegline una decina, anzi…una ventina e portamele” così, nella sua adorabile brusca maniera.
Le avevo scelte con cura, concentrandomi soprattutto sui volti, sul reticolato di rughe e sulla vivacità degli occhi. Pensavo di aver fatto un buon lavoro. Pensavo…e mentre l’aspettavo e la sentivo spiegare a quel “piccolo” pubblico attentissimo l’importanza del contesto di una fotografia, capii che avevo sbagliato. Finita la lezione, ci incontrammo, nella sua “stanzetta privata”. Affettuosa e spontanea, come sempre, mi parlò di quanto erano bravi quei suoi piccoli allievi, erano come spugne, era un vero piacere stare con loro, imparavano subito anche se… “io mi stanco…purtroppo”.
“Vediamo queste foto” mi disse. Volevo dirle che avevo capito il mio errore nella selezione ma la sua autorevolezza fu paralizzante. Obbedii. Le iniziò a guardare velocemente e a metterle di lato, poi fermò la sua attenzione su una: ritraeva una donna, di spalle, in groppa ad un mulo, circondata da una campagna tunisina secca, arida. “Questa è molto bella, dà il senso della fatica. E’ una persona inserita in un contesto”. Trovai, a quelle parole, la forza di confessare di avere capito poco prima il mio errore. Mi ricordo la sua risata ed il suo congedo: “Che pezzo stai preparando per Mezzocielo?” la rivista che lei dirigeva. Voleva sicuramente dirmi di lasciar perdere “ambizioni fotografiche” e continuare a scrivere. Consiglio accettato anche se, da quel momento, quando scatto una foto, mi ricordo quella sua grande lezione.
Ci siamo riviste il 13 marzo 2018 a Villafranca Sicula in occasione di una manifestazione dal titolo “Ricordando l’Otto Marzo” organizzata dal sindaco Mimmo Balsamo.
Arrivò con i suoi capelli colorati, lo sguardo di sempre: indagatore e intelligente.
Disse che voleva subito fumare una sigaretta e fare una passeggiata, prima della “manifestazione ufficiale”. Desiderio subito esaudito mentre mio marito le chiedeva ironicamente se poteva permettersi di fotografarla. Ricordo ancora l’allegria della sua risposta.
Quando iniziò l’incontro, il sindaco iniziò a presentarla elecando ovviamente tutti i suoi riconoscimenti. Fu un attimo, lei prese il microfono e disse: “Siccome, io sono qua, la mia vita ve la racconto io, perché a volte hanno scritto fesserie su di me”.
Quella frase ebbe il potere di avvicinarla a tutti noi: la sua ironia e la sua semplicità conquistavano immediatamente.
Letizia ci parlò della sua vita, della sua Palermo, della fotografia, della mafia e della bellezza. Ricordò la “fatica del suo mestiere” i primi anni, proprio perché donna.
La sua lectio magistralis fu un grande regalo per tutti e tutte.
Oggi, mentre scrivo, rifletto sul suo nome, e penso che non poteva che chiamarsi così. Ho cercato e scelto alcuni significati di queste parole
Letizia: intima gioia spirituale.
Battaglia: vivo contrasto, lotta di parole, di opinioni. Lotta per conseguire un determinato fine.
E con una semplice parola desidero chiudere questo mio ricordo personale: Grazie.
Grazie Letizia!