“Maigret e la giovane morta”
di Adriana Moltedo
Jean Renoir, nel celeberrimo “La notte dell’incrocio” (1932) tratto dal romanzo Il mistero del crocevia, tre adattamenti (1958) con il mitico Jean Gabin diretto da Jean Delannoy, e non da meno il nostro Gino Cervi diretto da Mario Landi (1968) che aveva già interpretato il personaggio nel celebre sceneggiato televisivo. Questi sono i Maigret che hanno preceduto Gérard Depardieu, 73 anni, ovvero la nuova versione cinematografica del celebre commissario con la pipa diretto da Patrice Leconte che realizza uno dei più struggenti adattamenti dei romanzi di Georges Simenon.
Cupo, fumoso, intenso. Così è il Maigret di Leconte con Gérard Depardieu, malinconico, stanco, intristito. Ma anche se così diverso, Maigret è sempre Maigret: nei suoi modi, nell’intelligenza, nella sua umanità.
Le atmosfere di Simenon sono riprodotte e rispettate, con un immenso Depardieu, che si cala nella parte con una delicatezza che contrasta con la fisicità massiccia.
Un Maigret per certi versi quasi irriconoscibile. Inappetente. Senza la pipa dall’inizio del film, per ragioni mediche, e lui nemmeno protesta. Continua a bere. “questo caso è cominciato col bianco e finisce col bianco. Ci sono casi da calvados, altri da birra, questo è un caso da bianco”, dice a un certo punto a un suo ispettore che gli aveva proposto una birra fresca.
L’elefante Maigret/Depardieu si muove nella cristalleria della fragilità umana, con l’eleganza attentissimo a non fare più danni perché oltre a non fare danni, Maigret aggiusta.
Lui rimetterà sulla giusta strada, la strada di casa, l’unica ragazza che ha potuto proteggere, aggiustare, salvare. Con i modi bruschi e silenziosi dei vecchi padri.
“Maigret e la giovane morta” è la storia di una giovane ragazza che una mattina di marzo viene trovata morta, uccisa con cinque coltellate, in Place Vintimille a Parigi, con indosso un abito da sera e una borsetta. Nessun elemento identifica il cadavere. L’ispettore Maigret cerca di risalire alla sua identità e capire cosa le sia successo.
Grazie al suo metodo e alla sua attenzione per i dettagli riesce a poco a poco a ricostruire la storia della vittima.
Perché conosce bene l’umanità e la sua fallibilità, il dolore che si annida nell’animo umano.
Leconte gira quasi il film in un piano sequenza di primissimi piani a mostrare da vicino vicino il dolore di tutti i personaggi compreso quello di Maigret.
L’unica serena è sua moglie che capisce il suo dolore e lo accarezza teneramente avendo capito il disagio che sta vivendo.
Pierre Assouline, uno dei biografi di Georges Simenon racconta di lui: “Tutta la sua vita è fatta di eccessi, non a caso pubblica quattrocento romanzi. Era logorroico e grafomane, le sue lettere erano sempre lunghissime. Qualunque cosa facesse, andava sempre oltre misura, con sete di denaro, eccessi con le donne, Simenon era un vero fenomeno, ma se l’avessi incontrato a trent’anni non avrei voluto essere suo amico”
lo stesso pensiamo noi di Maigret/Depardieu figlio prediletto che più somiglia a Georges Simenon.
Adriana Moltedo
Giornalista, esperta di Comunicazione politico-istituzionale per le Pari Opportunità, esperta di cinematografia con studi al CSC Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Curatrice editoriale.