Il 10 ottobre 2022 è morta alla veneranda età di 99 anni Laura Del Pio detta “Rina”, di professione sarta o “pantalonaia” come lei preferiva si definisse il suo lavoro.
Il 10 ottobre 2022 è morta alla veneranda età di 99 anni Laura Del Pio detta “Rina”, di professione sarta o “pantalonaia” come lei preferiva si definisse il suo lavoro.
Ho trovato riduttivi e per certi versi offensivi i titoli che quotidiani della carta stampata e on line hanno utilizzato per rendere nota la scomparsa di questa donna, storica iscritta del PCI romano, che affermava “la sezione di Trastevere è casa mia”.
E’ stata attivista in prima linea, ha lottato per diritti che oggi diamo per scontati e definitivamente acquisiti, partecipando alle manifestazioni in cui poteva accadere di essere inseguita dalla celere che “a quei tempi era a cavallo e menava con le catene”.
la Repubblica: Morta Rina, la sarta di Trastevere che cucì i pantaloni a Berlinguer: “Sulla mia bara voglio la bandiera rossa con falce e martello”
il Corriere della Sera: Trastevere, morta «Rina la sarta», che cucì i pantaloni a Enrico Berlinguer. L’addio con bandiera rossa
il quotidiano on line Roma today: Addio a “Rina”, la sarta di Trastevere che fece l’orlo a Berlinguer
Forse era un altro il titolo che Rina meritava, anche se lei andava fiera della sua amicizia con Berlinguer. E voglio essere maliziosa e un po’ provocatoria aggiungendo che, probabilmente, se si fosse trattato di un uomo, diciamo – per ipotesi – un calzolaio, il titolo non sarebbe stato «morto Giovanni il calzolaio», che rifece le suole alle scarpe di Nilde Iotti. Posto che Giovanni avesse la stessa storia di Rina.
In questa realtà politica e sociale in cui la coerenza e la fede in ideali sembrano smarriti e i partiti politici hanno perso la capacità attrattiva rinunciando al ruolo di agente di socializzazione secondaria, mi chiedo se questa donna non meritasse di avere un maggiore riconoscimento, fin dal titolo, del suo ruolo politico e sociale e della sua incrollabile aderenza e fedeltà a una ideologia introiettata in tempi lontani che ha subito – nel tempo – profonde trasformazioni e che si è via via allontanata dalla dottrina comunista che portò Rina la pantalonaia a iscriversi al partito.
Era conosciuta come la sarta comunista di Trastevere. Si era iscritta giovanissima al PCI e diceva: “A quei tempi il partito era anche scuola di politica, di storia, di filosofia … Ci parlarono del Pci, della Russia, del fascismo, della Democrazia cristiana…” e lei odiava i preti e i fascisti.
La giornalista e autrice Vittoria Iacovella, nipote acquisita, dice: Rina era stata una ragazza semplice che aveva scelto da sola il suo partito, il PCI, e con esso era cresciuta. Per la sua casa sempre aperta sono passati tutti i compagni e le compagne e i leader del comunismo italiano…
Nella sua casa bottega, seduta alla sua macchina da cucire, Rina aveva sempre ago e filo tra le mani e la battuta pronta. Da militante e sarta, ha cucito i pantaloni al segretario più amato nella storia del PCI: Enrico Berlinguer e con lui si fece scattare una foto, religiosamente conservata ma, nella sua abitazione laboratorio di Trastevere, ne aveva anche un’altra con Isabel Allende che ospitò in casa.
Aveva vissuto tra le due guerre e aveva visto il Paese attraversato da avvenimenti storici che lo hanno segnato profondamente: la nascita del PCI, poco prima della sua, il fascismo, l’arrivo della Dc, il governo di sindaci romani illuminati come Argan e Petroselli. Tuttavia Rina è rimasta tutta la vita legata all’ideologia comunista e, per il suo funerale, ha lasciato precise disposizioni: niente cerimonia in chiesa, una vecchia bandiera rossa del Pci, con falce e martello, sulla bara.
«Abbiamo faticato non poco a trovarla – racconta la Iacovella, compagna di Alessandro, uno dei nipoti di “Rina” – Prima abbiamo contattato i militanti dell’ ex sezione comunista di Trastevere, che hanno controllato negli scantinati ma non l’hanno trovata. Poi abbiamo chiesto in giro, ai vecchi del quartiere: niente. Alla fine, paradosso incredibile per una comunista e antimperialista doc, la bandiera rossa l’abbiamo trovata su Amazon, re delle multinazionali…»
Al civico 12 di Vicolo del Cinque nel rione Trastevere, dove aveva trascorso una vita, e dove aveva iniziato a fare la sarta da bambina, Rina è stata un punto di riferimento per il rione e per i compagni e le compagne che hanno frequentato, per decenni, la sua abitazione.
Rina però è una donna che non va ricordata solo per la sua inossidabile fede politica. Del suo privato Vittoria Iacovella dice: è stata “una donna ironica, acuta, testarda e anche una mamma premurosa, una nonna dolce, una bisnonna tenerissima”.
Quello che segue è un estratto di una intervista che Piero Sansonetti fece a Rina la pantalonaia nel 2000 per un giornale “abusivo” che si chiamava l’Unità di Trastevere e che rende bene l’idea della donna, del suo coraggio, della sua pragmaticità, della sua solida determinazione e coerenza.
“nel ‘53 (sull’anno non ci giuro) lavoravo per un sarto che era un dirigente del partito socialdemocratico, quello di Saragat. A casa mia c’erano pochi soldi. Pochi davvero. I ragazzi andavano a scuola, e mio marito, che era stato cinque anni in guerra, non aveva ancora trovato un lavoro fisso: faceva il venditore ambulante alla stazione, lo chiamavano “acquafresca”. Racimolava spiccioli.
Quell’anno i saragattiani conquistarono la presidenza della centrale del latte e il mio amico sarto, che sapeva delle difficoltà economiche della mia famiglia, un giorno mi chiamò e mi disse: “Rina, ho un regalo per te. Fa iscrivere tuo marito al partito socialdemocratico e in dieci giorni io te le faccio assumere. Stipendio buono e sicuro,pensione e tutto. D’accordo?”. Non dormii la notte. Come facevo a dir di no? Avevo la responsabilità dei bambini, dovevo pensare alla vecchiaia, era un’occasione d’oro…
La mattina mi alzai e andai dal sarto saragattiano. Lo guardai fisso negli occhi e gli dissi: “no amico, grazie”. E me ne andai. A mio marito neanche glielo avevo detto di quell’occasione. Glielo raccontai tanti anni dopo e lui non si stupì per niente: “Brava Rina – mi disse – hai fatto bene”.
“Ma io ho anche un grande ricordo del femminismo. Certo c’erano certe cose del femminismo che mi facevano ridere, o che proprio non condividevo. Però l’emancipazione c’è stata, eccome. E vero o no? Io ricordo che mia nonna a tavola non poteva parlare, e doveva obbedire al nonno. Se guardo a quali sono i rapporti tra le mie figlie e i miei generi allora sì che benedico il femminismo. C’è ancora molta strada da fare? Certo, sì, ma ne abbiamo fatta tanta e in fretta in questi anni, non ti pare?”
“Quanti ne ho conosciuti. La Michetti, la Rodano, la Ciai: che donne!”
L’anima della sinistra? Rina, la pantalonaia
IL Riformista · 12 ott 2022 · Piero Sansonetti
12/10/22, 12:09 L’anima della sinistra? Rina, la pantalonaia
https://www.pressreader.com/italy/9h16 2/4
ricordato di quella intervista. Mi è sembrata bella. La pubblichiamo a pagina 2.
È morta l’altro giorno, all’età di 99 anni, Laura del Pio, detta Rina, di mestiere sarta, donna molto popolare nel quartiere romano di
Trastevere. Tanti anni fa, nel febbraio del 2001, mi capitò di intervistarla. In quei giorni l’Unità non era in edicola, era in crisi nera e
aveva sospeso le pubblicazioni. A Trastevere però mio fratello, Giulio, decise di pubblicare un giornale che si chiamava l’Unità di
Trastevere e che ebbe un gran successo. La mia intervista uscì proprio su quel giornale. L’ho riletta ieri, e mi è sembrata per molti
versi molto attuale. Magari mi sbaglio. Dategli un’occhiata.
«C’era un amico di papà che girava sempre per casa e gli piaceva chiacchierare con me. Un giorno mi disse: “Rina, con queste idee
che hai dovresti venire in sezione e iscriverti al Pci. Tu la pensi come noi comunisti”. Avevo 23 anni, non sapevo niente di politica,
non conoscevo il Pci, non avevo mai visto una sezione di partito in vita mia. Però odiavo i preti e i fascisti. Così andai in sezione per laprima volta, e qualche settimana dopo feci la domanda di iscrizione. Mi presero. Da allora la sezione di Trastevere è casa mia. Qual-
che anno fa, nel ‘96, ho festeggiato i 50 anni di militanza. Vedi questa foto? Sono io, e quello è D’ Alema, che allora era il segretariodel Pds e venne alla festa delle mie nozze d’oro col partito. Io sono una compagna di base. Ho lavorato sempre nel quartiere, in fede-
razione ci sono andata poche volte, a Botteghe Oscure quasi mai. Erano i dirigenti del Pci che venivano sempre qui, adesso lo fanno dimeno. Quando c’era la festa del tesseramento veniva sempre D’Onofrio – lo conoscevi D’Onofrio, il mitico Edo, quello che fece il
comizio dopo l’attentato a Togliatti? – ti parlo degli anni Cinquanta, anni eroici. Ma anche Petroselli è venuto tante volte. È venuto
anche da sindaco. Ho tre figli e sei nipoti e votano tutti per noi, però loro non amano la politica come l’ho amata io, tranne una figlia,
Nadia, che fa l’assistente sociale a Rebibbia. Mi ricordo che la prima volta che andai ad una riunione di caseggiato, a piazza Renzi, a
casa di una compagna, vidi una fotografia grande, incorniciata, messa come un quadro alla parete. Pensavo che fosse il padre della
mia amica, il nonno, chissà. Siccome la guardavo incuriosita, si avvicinò Antonietta e mi chiese sorridendo: lo conosci? Le dissi di no,
naturalmente, come potevo conoscerlo suo nonno? Allora lei mi sussurrò all’orecchio, come per non farsi sentire dagli altri: “è il cap
… “. Era Ercoli, cioè Togliatti, e io non avevo mai visto la sua foto né mai sentito il suo nome. Io conoscevo appena il nome di Stalin,
ma non sapevo molto neanche di lui. Allora il compagno della federazione, che si era accorto di tutto, senza rimproverarmi per la mia
ignoranza si mise a parlare di Togliatti: chi era e chi non era, e cosa aveva fatto e qual era il suo pensiero e tutto il resto. Con me
c’erano altre donne, c’erano le “lavannare”, e neanche loro sapevano niente. A quei tempi il partito era anche scuola di politica, di
storia, di filosofia … Ci parlarono del Pci, della Russia, del fascismo, della Democrazia cristiana… ».
La signora con cui sto parlando si chiama Laura del Pio, ma è nota in tutto Trastevere come Rina. Abita a vicolo del Cinque, ha 78 anni
e vive in questo appartamento trasteverino da quando ne aveva 12. Fa la sarta, anzi – ci tiene – la “pantalonaia’’. Prima stava in
affitto, coi suoi; poi 15 anni fa, dopo la morte del marito, lei e i suoi figli hanno comprato l’appartamento. È una casetta di tre stanze
in uno dei luoghi più belli di Roma. Alle pareti le foto dei figli e dei nipoti e un po’ di quadri, quasi tutti politici. Ci sono un paio di12/10/22, 12:09 L’anima della sinistra? Rina, la pantalonaia
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Calabria, pittore-cult per la sinistra anni ‘60 e ‘70, un quadro di Quattrucci, un manifesto contro Pinochet. Rina è nata a Montero-
tondo nel 1923, da genitori antifascisti, anticlericali e di vaghe simpatie socialiste. Ha fatto le elementari lì, in paese, poi quando èvenuta a Roma è andata subito a lavorare. Niente medie, niente liceo. Faceva la sarta per otto lire al giorno . «Quando arrivava il
sabato e portavo i soldini a mamma, ti assicuro che le facevano piacere. Era dura tirare avanti. Adesso si dice: la crisi, la crisi! Ma non
se la ricorda più nessuno la crisi di quegli anni, quando difficoltà economica voleva dire che non c’era da mangiare? Di Monterotondonon ho un gran ricordo. Tempi durissimi. Il mio odio per il fascismo nasce in quegli anni. Una volta, di notte, fecero una retata e por-
tarono via almeno 100 antifascisti. Tutti a Lampedusa, al confino. C’era anche mio nonno e c’era mio zio, il fratello di mia madre.Mio zio faceva il macellaro e ha perduto il lavoro. Quando è tornato non lo ha più ritrovato, ha passato gli ultimi suoi anni ad andare
per funghi in modo da trovare i quattrini per campare. Sai quante famiglie ha rovinato il fascismo? Mica solo quelle dei militanti
politici. Anche mio padre ha perduto il lavoro. Licenziato per sciopero. Faceva l’infermiere al Santa Maria della Pietà e partecipò
all’ultimo sciopero dell’epoca fascista, nel ‘28. Lo cacciarono. Da allora, un po’ alla volta, per tirare avanti, ci siamo venduti tutto
quello che avevamo in campagna. A Monterotondo c’erano molti antifascisti. Se ci vai adesso, proprio all’ingresso del camposanto
trovi la tomba di un signore che oggi avrebbe l’età mia, ma allora aveva 17 anni. Passò la sfilata dei fascisti, un sabato, coi gagliardetti
e tutto, e la gente doveva fare ala e salutare col braccio teso. Lui non lo fece. Allora un gerarchetto lo provocò: “Ragazzino, saluta e
rendi omaggio al duce o ti sparo”, gli disse. Lui non salutò e il fascista lo fece secco con una revolverata. Ma la gente, i ragazzi,
secondo te le sanno queste cose? Io penso di no, sennò non staremmo qui a parlare del rischio che vince Berlusconi. Anche a Traste-
vere, per esempio, io vedo che le cose cambiano. Qui a Trastevere i fascisti non erano mai entrati, e adesso c’è una sezione di ForzaItalia. Che dispiacere! Che dici, sbaglio a dire queste cose? Sono settaria? Non stare lì a prendere appunti col taccuino e basta: dim-
melo dove sbaglio, no?».«I periodi più belli della mia vita politica? Non saprei, sono tanti. Gli anni Cinquanta e Sessanta furono bellissimi, ma difficili. Lavo-
ravamo moltissimo per il partito e avevamo in mano il quartiere. Però le prendevamo anche. Ce l’ho prese tante volta dalla polizia, euna volta mi hanno anche portato in questura. Di quegli anni ricordo il rapporto bellissimo con le donne del Pci. Mi ricordo Maria
Michetti, la Rodano, la Ciai.Furono belli anche gli anni ‘70, quando vincemmo le elezioni. E poi è stato un grande momento quando D’Alema è diventato presi-
dente del consiglio: un compagno a Palazzo Chigi, che sogno!Ma io ho anche un grande ricordo del femminismo. Certo c’erano certe cose del femminismo che mi facevano ridere, o che proprio
non condividevo. Però l’emancipazione c’è stata, eccome. E vero o no? Io ricordo che
mia nonna a tavola non poteva parlare, e doveva obbedire al nonno. Se guardo a quali sono i rapporti tra le mie figlie e i miei generi
allora sì che benedico il femminismo. C’è ancora molta strada da fare? Certo, sì, ma ne abbiamo fatta tanta e in fretta in questi anni,12/10/22, 12:09 L’anima della sinistra? Rina, la pantalonaia
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non ti pare?Invece il momento più difficile della mia vita politica fu nel ‘53 (sull’anno non ci giuro). Allora lavoravo. per un sarto che era un diri-
gente del partito socialdemocratico, quello di Saragat. A casa mia c’erano pochi soldi. Pochi davvero. I ragazzi andavano a scuola, emio marito, che era stato cinque anni in guerra, non aveva ancora trovato un lavoro fisso: faceva il venditore ambulante alla sta-
zione, lo chiamavano “acquafresca”. Racimolava spiccioli. Quell’anno i saragattiani conquistarono la presidenza della centrale dellatte e il mio amico sarto, che sapeva delle difficoltà economiche della mia famiglia, un giorno mi chiamò e mi disse: “Rina, ho un
regalo per te. Fa iscrivere tuo marito al partito socialdemocratico e in dieci giorni io te le faccio assumere. Stipendio buono e sicuro,
pensione e tutto. D’accordo?”. Non dormii la notte. Come facevo a dir di no? Avevo la responsabilità dei bambini, dovevo pensare alla
vecchiaia, era un’occasione d’oro… La mattina mi alzai e andai dal sarto saragattiano. Lo guardai fisso negli occhi e gli dissi: “no
amico, grazie”. E me ne andai. A mio marito neanche glielo avevo detto di quell’occasione. Glielo raccontai tanti anni dopo e lui non
si stupì per niente: “Brava Rina – mi disse – hai fatto bene”. Ha continuato a vendere cose alla stazione e 15 anni fa è morto senza
lasciarmi una pensione. Tra poco faccio 80 anni e continuo a lavorare da pantalonaia, perché per vivere ho bisogno di lavorare. E sai
che c’è: ne sono fiera».
«La svolta nel Pci? Dici la svolta di Occhetto? Ero disperata. lo mi dispero sempre quando ci sono le svolte, ma poi mi convinco. Ingenere è Nadia, mia figlia, a farmi capire le cose. Nel ‘73, quando Berlinguer disse del compromesso storico volevo stracciare la tes-
sera. Non lo feci. Nel ‘90 volevo passare a Rifondazione. Non lo feci neanche quella volta e oggi sono contenta così: perché Bertinottiè più a sinistra di me? Non credo. Adesso quello che conta è vincere le elezioni. Dici che le perdiamo? No, non possiamo perderle, non
ci credo che gli italiani siano così cretini da votare per Berlusconi. Certo quello è potente, ha in mano i giornali, le Tv, le radio… E ora
da sei mesi siam pure senza l’Unità! Almeno l’Unità deve tornare subito. Sicuro che torna prima delle elezioni? Sai quante ne ho fatte
di campagne elettorali vendendo il giornale? Chissà, forse 30, forse 40. La farò anche stavolta, sì, anche stavolta… ».
«Quanti ne ho conosciuti. La Michetti, la Rodano, la Ciai: che donne! A me è piaciuto anche il femminismo perché mia nonna, a
tavola, doveva stare in silenzio. Una volta mi offrirono un lavoro per mio marito ma doveva prendere la tessera dei saragattiani. Dissi di no»
2 commenti
Mi piacerebbe che apportassi una correzione :
tu Caterina non sei il direttore editoriale
tu sei LA DIRETTRICE editoriale di Dol’s…
con stima Agnese
Certo correggerò