Questo è un viaggio della memoria del grande regista Roman Polański, che ripercorre “La Shoah in Polonia” con un documentario, nel ruolo di protagonista e non di regista e del suo caro amico Ryszard Horowitz, riconosciuto come un pioniere della fotografia con effetti speciali che precede l’elaborazione digitale dell’immagine. Hometown si concentra sulla loro infanzia.
Camminando per le strade di Cracovia, due dei maggiori artisti polacchi contemporanei, ripercorrono il loro passato e ricordano i momenti difficili della loro vita quando da bambini subirono la persecuzione, durante l’Olocausto, quando si incontrarono nel ghetto ebraico costruito dai nazisti.
Ma soprattutto questo è un racconto di grande amicizia, nata da un vissuto comune che li segnò. Il loro rapporto molto breve è durato per sempre.
I due si raccontano storie di sopravvivenza: Horowitz divenne uno dei bambini più giovani salvati da Oscar Schindler e Polanski si nascose in un piccolo villaggio dopo essere fuggito dal ghetto, nella casa di una povera famiglia contadina
Quella tra i due artisti, infatti, è una conversazione intima, un dialogo ininterrotto pieno di ricordi totalmente surreali.
I due ironizzano e ridono sulle cose più tragiche della vita e noi con loro. Una risata liberatoria che libera anche noi dell’orrore della guerra, quella loro e la nostra.
Horovitz e Polanski girando per Cracovia parlano la loro lingua madre e rivivono quando hanno saltato la scuola per andare al cinema, sviluppato le loro prime fotografie e si sono innamorati dell’arte nella Polonia comunista, contro il volere dei Governi.
Entrambi hanno studiato i grandi artisti e scoperto la bellezza del jazz. Entrambi hanno lasciato il Paese: da quando Polanski ha lasciato Cracovia per girare film e Horowitz è fuggito a New York per perseguire la sua carriera nel campo della fotografia, non avevano più avuto la possibilità di rivedersi in Polonia.
Grazie a “Polanski, Horowitz. Hometown”, dopo 50 anni, sono tornati a vedere insieme tutti i luoghi delle loro origini e condiviso con il grande pubblico la loro storia che è storia dell’umanità.
Il film, è stato realizzato da due giovani registi, Mateusz Kudla 31enne e Anna Kokoszka-Romer, 34enne, coppia nella vita privata, e come hanno sottolineato , il film si concentra “sulla memoria, sul destino e sul trauma”.
Con questi due personaggi, che hanno avuto la fortuna di sopravvivere, – ha proseguito Kudla in un’intervista – abbiamo voluto mostrare la tragedia di tutti gli abitanti del Ghetto che non ce l’hanno fatta”.
Polanski ricorda di aver visto un ufficiale nazista sparare a una donna anziana, con il sangue che schizzava dappertutto. “Terrorizzato, corsi attraverso il corridoio dietro di me e mi nascosi nelle scale” ha rievocato il regista nel filmato.
Nonostante all’epoca avesse solo sette anni, quando la Seconda Guerra Mondiale cominciò, Roman ha trattenuto nella memoria ogni dettaglio. All’amico Horowitz, Polanski racconta che quell’episodio fu “il mio primo incontro con l’orrore”.
Soddisfatti del lavoro svolto, i registi Mateusz Kudla e Anna Kokoszka Romer hanno dichiarato che “si tratta di qualcosa che rende Roman Polanski testimone della storia e utile a impedire che tutto questo possa accadere di nuovo in futuro”
In finale vediamo due ombrelli neri ripresi dall’alto, che si muovono poeticamente nelle strade di Cracovia, uno accanto all’altro.
Adriana Moltedo
Giornalista, esperta di Comunicazione politico-istituzionale per le Pari Opportunità, esperta di cinematografia con studi al CSC Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Curatrice editoriale.