Boicottare i mondiali in Qatar è giusto e doveroso, come giusto e doveroso è stigmatizzare strumentalizzazioni politiche e teppismo in nome del “tifo”.
D’altronde questi sono pure i mondiali dell’Iran che non si piega, del Marocco che sogna (e sì, di là da tutto, fatelo sognare). E sono i mondiali di
Sofiane Boufal, nome fino a ieri sconosciuto ai non-calciofili. Come la pensi su tante questioni, anche importanti, lo ignoriamo. Ma conta, anche solo per pochi minuti, quella danza sul campo, un po’ girotondo un po’ minuetto, assieme alla madre dopo la sorprendente vittoria sul Portogallo.Li avevamo già visti in occasione di Belgio-Marocco (0-2), lui seminudo, lei imbacuccata, ma entrambi a loro modo liberi, e liberi erano ieri, mentre ballonzolavano su una spianata verde che – è ben certo – vedevano come un grande mare semovente, magari un tappeto, sicuramente un luogo dove correre soli e felici per l’eternità. Sofiane, tecnicamente, è un
“beur“, un marocchino nato a Parigi e cresciuto ad Angers dove anche gioca. È stato il suo allenatore francese a convincerlo a giocare con la squadra delle origini, e grazie a lui Sofiane ha ripreso
la fierezza delle radici, quella fierezza infantile senza ruoli né malizia.
Tutto scompare in quei momenti, tranne la madre: sempre uguale, sempre alleata, sempre approdo anche quando ogni certezza crolla. Ma pure bambina, e Sofiane sa, nella sua inconsapevolezza, che in lei, e in ogni donna, c’è un’avventurosa bimba negata, una che voleva correre e ballare e inzaccherarsi le ginocchia e ridere e urlare, e quella felicità condivisa e complice, quasi di rottura, l’ha vista il mondo intero, trasfigurata, forse epocale.