È questa la conclusione a cui è giunta Bruna Tadolini nel suo saggio “L’evoluzione al femminile. Il contributo delle femmine all’evoluzione dell’Homo sapiens”, Ed. Pendragon, e lo ha fatto ripercorrendo sistematicamente il processo evolutivo che, in 4 miliardi di anni, ha permesso alla Vita di diversificarsi in una enorme varietà di specie. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare da un libro scientifico il leggerlo “è come fare un viaggio nel tempo, quasi una storia della vita talmente affascinante che, come un romanzo, non riesci a smettere di leggerlo, ma, nello stesso tempo, centellini le ultime pagine perché ti dispiace sapere… come va a finire”. Infatti, i contenuti scientifici sono narrati come in un romanzo d’avventura che, partendo dall’origine della Vita ne ripercorre la storia focalizzando l’attenzione sul contributo dato all’evoluzione stessa dalle diverse strategie riproduttive messe in atto dai due sessi da quando, circa 1,2 miliardi di anni fa, si è evoluta la riproduzione sessuata. Da allora in poi, per svolgere al meglio la propria funzione riproduttiva, essi hanno dovuto diversificare e specializzare sempre più le proprie anatomie, le proprie fisiologie, i propri comportamenti.
Una delle pietre miliari che hanno segnato quel percorso è stata la conquista delle terre emerse che ha richiesto sia la fecondazione delle uova all’interno del corpo femminile sia la loro cura una volta fecondate e deposte nell’ambiente. Ciò ha portato ad una diversificazione nei comportamenti riproduttivi: la competizione fra maschi per accaparrarsi le femmine e la cura femminile delle uova per favorirne la sopravvivenza. Colpisce il messaggio che ci viene quel lontano passato della nostra storia evolutiva e cioè che quella che oggi ci appare come una scelta culturale etico-politica, l’alternativa fra l’aggressività e la solidarietà, sia invece un comportamento profondamente fondata nella nostra biologia.
L’espansione della funzione di cura nei Mammiferi, che nutrono a lungo i neonati con una secrezione del proprio corpo, e nei Placentati, che fanno sviluppare l’embrione nutrendolo con il proprio sangue, ha accentuato la dicotomia di comportamenti antagonisti maschili ed agonisti femminili. Il grande investimento fatto dalle femmine su ogni figlio ne ha ridotto, infatti, le potenzialità riproduttive mentre è rimasto invariata l’enorme quantità di spermatozoi che ogni maschio può produrre. I crescenti comportamenti di cura, il sacrificare in modo altruistico la propria vita per un altro individuo, sono stati resi possibili dall’evoluzione del cosiddetto cervello neo-mammaliano che genera emozioni e sentimenti oltre a possedere neuroni con intrinseca attività di pacificazione. L’ormone della cura, l’ossitocina, è stato poi utilizzato per estendere i legami affettivi ad altri individui: da quello fra madre e figli, a quello fra caregivers e cuccioli, a quello fra padri e cuccioli, a quello fra maschi e femmine (innamoramento) … a quello più generico fra gli individui di un branco. Questi comportamenti altruistici e cooperativi si sono evoluti, in ambienti difficili, per fornire alla scarsa prole comune una maggiori probabilità di sopravvivenza e, come conseguenza, per aumentare le possibilità future di sopravvivenza del gruppo. La cura è diventata, così, la base fondante della nostra socialità.
Quindi, più che la lotta per la vita e la competizione, sono stati la collaborazione, la solidarietà, l’empatia, l’altruismo, il controllo dell’aggressività, cioè i frutti della strategia riproduttiva femminile, gli strumenti emotivi che hanno permesso la nostra evoluzione verso la socialità in quanto strumento di gestione collegiale della prole. A fianco delle relazioni sociali, ed anzi come loro conseguenza, si sono evolute le funzioni cognitive complesse, dalla memoria al ragionamento causale, al mettersi nei panni altrui, alla capacità di insegnare, al linguaggio .. tutte chiaramente legate all’allevamento dei cuccioli ed al trasferire loro le conoscenze.
Se osservate dal punto di vista biologico le femmine non sono state, quindi, al margine della nostra evoluzione; la loro natura e le loro caratteristiche fisiche ed emotive non sono segni di inferiorità e subalternità ma sono i determinanti dell’esistenza in vita della nostra specie.Ma il libro non parla solo del lontano passato, parla anche di come la strategia riproduttiva femminile cooperativa, a rete, quella che ha permesso alla nostra specie di sopravvivere e riprodursi per centinaia di migliaia di anni, sia stata recentemente soppiantata da quella verticistica competitiva maschile che in poche migliaia di anni sta portando l’Homo sapiens ad una fine, probabilmente catastrofica. L’invenzione dell’agricoltura, la stanzialità, l’aumento delle risorse materiali, l’accumulo di tali risorse hanno trasformato le relazioni fra individui: una volta basate sul valore ‘morale’ degli individui da allora si sono basate sul loro valore ‘materiale’. Espropriate dell’importante contributo economico che davano alla società le femmine sono diventate sono diventate semplici “fattrici di una merce che abbonda e che è usata come carne da carne da lavoro in tempo di pace e da macello in tempo di guerra”.
Bruna Tadolini
Nata a Bologna. Ricercatrice e divulgatrice scientifica. Nel 2021 le è stato conferito il Premio TINA ANSELMI alla carriera istituito dal Centro Italiano Femminile (sede di Bologna) dall’Unione Donne in Italia (sede di Bologna) con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Comunale di Bologna e della Città metropolitana.