Turner-Simone, 20 anni dopo
di Daniela Tuscano
Due nomi soprannomi, quasi finti, quasi scherzi. Nomi da cameriera. Nina con quei timbri ambigui, da notti insonni, Tina col suo urlo da leonessa, tutta-donna, insonne lei pure, ma scoperta, vampira.
Nina (Simone) e Tina (Turner), i miei anni 80 in musica. Senza Tina non avrei scoperto Nina eppure loro venivano da lontano, con storie dure di maschi violenti. Tina alla fine del ’70 era in bolletta per colpa di Ike, marito-padrone che senza di lei nulla poté. Pippo Baudo la volle ospite fissa del suo varietà del sabato sera, colorato, gremito di talenti affermati o futuri, ma ancora un po’ autarchico. E fra tanta italianità ricominciava lei, Tina. Aveva perduto l’aureola per poi riafferrarla coi denti e la voce, ugualmente dentosa, solida. E in breve tempo tornò nell’Olimpo delle stelle mondiali, non solo musica ma Hollywood, icona di stile e sensualità.
Tina e Nina non hanno eredi. Sono troppe, ingombranti e obsolete per il nostro palco-karaoke, orchestra vuota di dive fluide. Tina e Nina sono invecchiate a vent’anni esatti di distanza, poi cadute in piedi, indomabili. Altro non mi viene per definirle ma Tina, come Nina, sa centellinare. Non le importerebbe se raccontassi per esteso ciò che ha rappresentato per me. Basta il pensiero, anzi l’intuito. Rivederci e grazie.