“Se proprio ci tieni, vecchia”.
La donna cui l’ufficiale nazista scaglia in faccia quest’epiteto ha solo 55 anni, età che oggi nessuna, almeno nell’opulento Occidente, assocerebbe al tramonto della vita. Al massimo al periodo maturo, ancor rigoglioso di fascino e lusinghe. Vecchio, qui da noi, non è del resto più nessuno: la parola viene ritenuta scorretta e offensiva proprio come al tempo delle dittature, che disprezzavano i corpi in declino e magnificavano i fisici freschi e atletici, salvo poi mandarli a morire in guerra.
Ma Marianna Biernacka (1888-1943) della vecchiaia non ha paura. La sua è una generazione concreta. Consunta anche, certamente. Sa che il tempo ha pochi spazi e ci vive dentro, nelle stagioni e tra le fatiche. E poi, a vederla, dimostra almeno dieci anni di più. Vecchia, d’accordo. E allora? Il suo periodo è quello, è madre, suocera, nonna, e fuori impazzano le bombe e la sua Polonia è invasa dalle truppe di Hitler.
Marianna abita in due stanze assieme al figlio, alla moglie di lui e a una loro bimba piccola. Non si sono potuti permettere un appartamento proprio, sono poveri, e non si capacitano nemmeno della furia tedesca: oltre a non possedere nulla, non si occupano di politica e sono sempre stati devoti e modesti. Alcuni partigiani polacchi, rifugiatisi nei pressi, hanno ucciso in un attentato membri della Wehrmacht e per rappresaglia questi ultimi hanno preso a caso, o a casaccio, i primi civili sotto tiro. La sorte cade proprio sulla famiglia di Marianna.
Solo che la sua richiesta suona bislacca anche al gerarca, forse la considera davvero una vecchia rimbambita. D’altronde, a chi importa? Se tanto ci tiene, la “vecchia” sarà accontentata. E la vecchia “tiene” a uno scambio di persona. I nazisti hanno deciso di fucilare suo figlio e sua nuora incinta. Marianna non riesce a proteggere lui. Ma, se si accontentassero d’una vecchia, se davvero contassero una per due, lei sì, ci “terrebbe”. Stranamente, la “proposta” è accettata. Marianna viene arrestata e passata per le armi, assieme al figlio, il giorno dopo.
Gli agiografi trovano affinità tra la sua vicenda e quella del “gigante polacco”, il francescano Massimiliano Kolbe, martire ad Auschwitz, che donò la vita per un padre di famiglia. Noi preferiamo accostarla a Noemi, la suocera che, secondo il racconto della Bibbia, si prese cura della nuora straniera, Rut la moabita, e a lei rimase legata l’intera vita, nella gioia e nelle sofferenze. Noemi ribaltò una volta per tutte lo stereotipo maschilista-patriarcale dell’inimicizia tra suocera e nuora e, in generale, della mancata solidarietà fra donne, ritenute incapaci di legami profondi e di quella che i greci chiamavano phylia, l’intima comunione di anime e corpi di cui solo gli uomini, superiori in quanto simili a dèi, potevano provare. Ma Noemi non era greca, era ebrea e, pur immersa in un contesto fortemente patriarcale, percepiva, anzi viveva Dio dentro di sé, sapeva istintivamente che anch’essa era immagine di Dio (non il dio-riflesso dei maschi della tradizione greca e dei ministri del sacro). Per questo si sentiva figlia e vedeva nell’altra una sorella prima ancora che una parente acquisita o “imposta”, e non le interessava fosse straniera; l’universalità di Dio già si affaccia nelle pagine del Primo Testamento e trova compiutezza in Gesù di Nazareth, nella cui fede Marianna Biernacka, la Noemi polacca, crebbe e visse.
Marianna non era teologa, non ne aveva bisogno. Come Noemi, Dio l’aveva dentro, la inabitava, come la cucina, come la casa. Come una madre: perché c’era anche un bimbo lì, un bimbo che ancora non vedeva, un fanciullo nascosto che premeva la vita più di quello partorito dalle sue stesse viscere; e capì che toccava proprio a lei, alla “vecchia” ormai sterile, generarlo di nuovo, biblicamente pure allora, e non esitò. Mentre sembrava trionfare la furia diabolica che spezzava ogni vita, mentre l’invidia dei maschi squarciava le donne e i loro grembi, tante piccole, sconosciute Davidi emergevano dal buio e mondavano il mondo.