Epidurale”, una parola che in molti paesi significa la pratica del “partorire senza dolore”.
Ho sempre pensato che certe attenzioni del mondo occidentale verso alcune pratiche “selvagge” del tipo dell’infibulazione, siano solo un modo inconscio per continuare a giustificare comportamenti sociali di violenza istituzionalizzata verso le donne.
Lo so è un brutto pensiero, e perciò è necessario documentarlo.
Ci diciamo “moderni” (una delle definizioni più ambigue già in voga presso gli antichi romani e greci che si definivano tali rispetto ad altre popolazioni “barbare”) mentre invece siamo impregnati di tabù non diversamente da altre… tribù.
Esistono divieti quasi sacrali di fare certe cose e pure di pronunciare certe parole, in determinati contesti, e che rendono la violenza della società verso le donne un fatto naturale o quantomeno legato a millenarie tradizioni.
Una di queste parole proibite e dunque tabù, nel nostro paese che si vuole industrializzato e civile, è “epidurale”, una parola che in molti paesi significa la pratica del “partorire senza dolore”.
In Italia solo il 20% delle partorienti, riesce a fare ricorso all’epidurale durante il parto, anestesia che è spesso negata dal personale medico con i più svariati motivi.
Pratiche parecchio comuni nei nostri ospedali sono invece tutti quei rituali violenti, verbali e fisici, che vengono attuati con nonchalance nei confronti della partoriente, che vanno dal trattare la donna con mancanza di rispetto per lei e il suo corpo fino all’abuso delle pratiche come il cesareo o l’episiotomia. La violenza ostetrica.
Ironia della sorte, per mettere in atto una episiotomia (di cui non descriverò i dettagli, dato la sensibilità di noi maschi) serve prima una anestesia locale.
Dunque niente anestesia epidurale e tutto pur di far partorire la donna nel dolore, non solo durante ma anche dopo, ad esempio quando per un parto troppo prolungato si dovrà ricorrere last-minute all’episiotomia: pare che dopo ore e ore di travaglio almeno un milione e seicentomila italiane lo abbiano subito questo colpo di bisturi senza nemmeno avere diritto al consenso informato.
Siamo lontanissimi dall’idea femminista de “il corpo è mio e lo gestisco io” e piuttosto nei paraggi del racconto del Signore della Genesi che dice a Eva (suppongo ad alta voce): “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli”.
Intanto nella vicina Francia, quella che noi saltuari viaggiatori oltre confine critichiamo per la grave mancanza del bidet nei bagni, la stragrande maggioranza delle donne partorisce infischiandosene dei dettami biblici e senza soffrire, e sono l’80%. E, tutto è partito negli anni 70, quando per intenderci i nostri cugini d’oltralpe portavano ancora la baguette sotto l’ascella, mentre noi si discuteva del diritto o meno al divorzio.
La media del ricorso all’epidurale si abbassa di poco in Europa, grazie anche al forte contributo del nostro paese (restio per tradizione ai diritti della persona), ma si attesta comunque sopra al 60% di donne che ne fanno ricorso.
Non che in Francia non ci siano stati dibattiti tardivi sull’uso dell’epidurale. Guarda caso una volta che è iniziato, qualche anno fa, il dibattito sulla violenza ostetrica, come d’incanto si è data alla luce una discussione anacronistica sui pericoli di questa pratica. Discussione nata morta come scriveva il giornale Le Monde nel 2017.
Ma perché il Italia non si fa ricorso all’epidurale e non vi è alcun dibattito rilevante a proposito della sua quasi assenza, mentre al contrario spesso senti dire che “non c’è niente di meglio del parto naturale”?
Ora si dovrebbe aprire un dibattito (un altro?) su cosa sia Natura e cosa non lo sia, ma sarà sufficiente suggerire a chi ama tanto questa Natura immaginifica e astratta dalla Cultura, una visita dal dentista con tanto di estrazione di un dente, ma senza anestesia. Qualcuno può pensare alla minima operazione chirurgica senza ricorso all’anestesia? Chi lo crede possibile per la partoriente, lo metta in atto anche in tutti gli altri casi.
Una delle ragioni per cui si partorisce ancora come animali sta nel termine “tradizione”, ciò che puoi tradurre con “si è sempre fatto così”, e dunque è “naturale” continuare a fare così.
Un altro motivo, all’apparenza più razionale, è il costo dell’epidurale che varia dagli 800 euro ai 2.000 euro per la persona, e comunque comporta anche un costo per la struttura sanitaria.
Sinceramente l’idea di far soffrire una persona perché la società “moderna” non è in grado di farsi carico di una anestesia, mi sembra una idea da Far West dove la soluzione finale potrebbe essere di far bere un abbondante bicchiere di rum, facendo stringere una cinghia di cuoio tra i denti: «Forza Calamity Jane è solo un parto mica una pallottola!».
Se vi aspettate qualcosa di diverso, un qualche miglioramento, non fate comunque affidamento alla religione cattolica o a qualche ostetrico/a credente che vi spiegherà, senza pudore come: «Il dolore è anche un’esperienza psichica: permette di sfogare la sofferenza emotiva di separarsi dal quel figlio che si è portato in grembo per nove mesi».
Ma non esiste altro tempo possibile per il distacco materno? Diciamo venticinque anni circa, fino alla fine dell’università, per gestire la separazione dal figlio, che il più delle volte, al termine del ciclo di studi, deciderà di restare ancora un po’ a casa vostra e implorerete inutilmente un taglio del cordone ombelicale.
Dunque succede troppo spesso nelle nostre sale parto, più di quanto si pensi, che quel/la stesso/a ostetrico/a (che fa del dolore la propria bandiera) neghi, senza motivo, l’epidurale alla futura mamma.
Non dimentichiamoci che al “partorirai col dolore”, il Signore che è in tutta evidenza un maschio, aggiunge: «… i tuoi desideri si rivolgeranno verso tuo marito e egli dominerà su di te».
Inutile concludere che da come partorisce la donna dipenda anche un bel po’ dell’uguaglianza di genere.
Violeremo il tabù dell’epidurale? Questa società maschilista e selvaggia saprà rinunciare ai suoi riti sacrificali e tornare al mito preistorico, ma ben più civile, della dea Madre?