di Rita A. Cugola
Questa non sarà un’elegia. Del resto, suppongo che la destinataria non l’avrebbe neppure apprezzata. O magari – rifuggendo i convenevoli di circostanza e tendendo ostinatamente a evitare ogni sorta di formalità conformista – si sarebbe limitata a fornirne un’interpretazione in chiave politica, al pari di qualsiasi altra circostanza tipica della commedia umana.
Già: perché come ha ribadito la speaker radiofonica Chiara Valerio – declinando ostinatamente al presente le sfumature insite nel loro storico rapporto di amicizia – per Michela Murgia (scomparsa lo scorso 10 agosto, a causa di un carcinoma renale al quarto stadio) “la cucina è politica, le donne sono politica, i sampietrini sono politica, ridere è politica, vestirsi è politica, scrivere è politica, parlare è politica, ascoltare è politica“.
Un elenco che potrebbe anche continuare ad libitum. Forse non casualmente, dal momento che, Valerio ne è fermamente convinta, “Niente di umano le è stato alieno”. O meglio: “In questo non esserle alieno niente, in questo suo essere vicina a tutto ciò che amava, Michela ha ribadito, con ogni parola – frasi senza vezzeggiativi, senza troppi aggettivi – che la vita è in sé politica. Ha a che fare cioè con la relazione”.
Personaggio dai mille volti e dalle molteplici risorse è infatti inopinabilmente riuscita a convertire le svariate esperienze lavorative svolte (sarta, traduttrice, operatrice di call center, catechista, cameriera, portiera notturna d’hotel al passo dello Stelvio, venditrice di multiproprietà, incaricata della consegna di cartelle esattoriali, dipendente di una centrale termoelettrica, tanto per citarne alcune) in un’incessante lotta al retaggio patriarcale che pervade e plasma ogni ambito dell’esistenza individuale. Uno sforzo immane, finalizzato a un’auspicabile resilienza collettiva.
Dalla statica e rarefatta atmosfera della natia Cabras, in Sardegna, alla realtà cosmopolita e multiforme della capitale: un cambiamento destinato a incidere notevolmente sull’evoluzione politico-culturale di una donna agguerrita e tendenzialmente avversa ai compromessi. “Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite”, aveva precisato a maggio nel corso della sua ultima intervista. “Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera e che non sapevo neppure di desiderare”.
Non stupisce che ne abbia tratto quei “ricordi preziosi” puntualmente evocati e racchiusi in testi emblematici quali “Il Mondo Deve Sapere” (da cui il regista Paolo Virzì trasse in seguito il film con Sabrina Ferilli “Tutta la Vita Davanti”), “Abboccadora, Tre Ciotole, God Save the Queer-Catechismo Femminista” e non solo.
In realtà, Murgia aveva sempre sperato di poter assistere al tramonto definitivo del convenzionalismo – così ipocrita nella sua essenza eppure ancora profondamente radicato nel substrato culturale di una collettività alla deriva – contro il quale non ha mai esitato a combattere in prima linea. Infierendo spesso sul sistema vigente. A partire proprio dal suo lato più vulnerabile: la famiglia tradizionale, ormai teatro di monotone rappresentazioni contraddistinte da ruoli rigidamente predeterminati e immutabili.
“Io sono una figlia d’anima, la famiglia queer l’ho sperimentata presto, forzatamente, e quindi ho capito che potevano esistere dei legami in grado di rispondere a logiche non del possesso tra genitori e figli“, amava rammentare. “Avere avuto più madri è stata la ricchezza di vivere più vite. Ho avuto la possibilità di essere più donne in circostanze diverse perché sono stata messa alla prova molto presto dalla diversità di due donne: mia madre, più rivoluzionaria a ma vincolata in casa ai rapporti violenti e tossici di mio padre, e mia zia, più conservatrice, cattolica, ministro straordinario dell’eucarestia ma anche più libera rispetto al rapporto col marito e con me. Sono grata a queste due madri”.
Il nucleo domestico sui generis da lei assemblato con pazienza ed entusiasmo costituisce solo uno dei tanti esempi di provocazione in cui Murgia eccelleva. Una grande casa abitata da individui di entrambi i sessi (tra cui, appunto, quattro figli d’anima) uniti da particolari affinità. Liberi da qualunque presunzione di mero possesso della e accomunati dall’identica, genuina necessità di offrire e ricevere amore senza pretendere nulla in cambio, a prescindere da vincoli relazionali. Determinati insomma a proseguire insieme (per libera scelta, non per convenzione) lungo un percorso condiviso di emancipazione ad ampio raggio.
“Sono molto fortunata perché amo molte persone e sono riamata in modi molto diversi, quindi sperimento una gradazione di amore molto più ampia di quella che si può sperimentare dentro una coppia”, teneva spesso a precisare. “Ma se dovessi dire di quali di queste persone sono innamorata, per fortuna dico di nessuna. Perché vorrebbe dire stabilire una gerarchia che automaticamente disegna livelli di potere nella relazione”.
In merito alla valenza di tale argomentazione, l’avvocata Cathy La Torre (esecutrice testamentaria della scrittrice) non nutre alcun dubbio: “Michela ci ha mostrato che tutelare le forme relazionali non tradizionali ma che sono comunque famiglie è oggi una battaglia politica urgente e aggiungo, dal canto mio, anche una battaglia giuridica fondamentale. Ha fatto testamento e predisposto tutto per tutelare una famiglia che lo Stato non tutela”.
Per siglare simbolicamente le nozze con l’attore Lorenzo Terenzi, celebrate civilmente due mesi fa in articulo mortis proprio per salvaguardare il suo variegato gruppo parentale acquisito, Murgia aveva optato per pseudo-fedi in resina con una rana in rilievo, adducendo la decisione al fatto che “La rana è anfibia, ama habitat differenti e li frequenta senza appartenere necessariamente solo a uno (..). In certe varianti può cambiare colore per mimetizzarsi, perché ci sono circostanze in cui non essere visti può essere l’unica cosa che ti salva la vita. L’anello con la rana”, non mancava di evidenziare, “incarna una sola promessa: cambieremo insieme, liberi”.
Fondamentale per riuscire nell’intento sarebbe comunque il superamento della paura, che attanaglia gli esseri umani sin dagli albori della civiltà. “Perché la paura?”, si domandava in una performance teatrale dedicata al tema. “Perché se metti in una stanza venti persone a cui chiedi quale idea politica abbiano, verranno fuori 21 idee diverse. Ma se metti ventun persone in una stanza e chiedi loro di dirti le loro paure, almeno una in comune ce la abbiamo tutti. Grazie a quella paura in comune è possibile superare le differenze ideologiche”.
da https://ritacugola.wordpress.com/2023/08/18/__trashed-2/