Donna, Vita, Libertà
Narges Mohammadi, nata 51 anni fa a Zajan, provincia nord-occidentale dell’Iran, laureata, ironia della sorte alla Imam Khomeini International University a Qazvin, un’università internazionale fondata dopo la rivoluzione islamica, braccio destro della prima iraniana insignita del medesimo premio l’avvocata Shirin Ebadi, è stata insignita del Premio Nobel per la pace 2023.
L’attivista è in prigione, dove sconta una condanna a 11 anni e 11 mesi di carcere. Il premio sostiene la lunga lotta di coloro che stanno soffrendo e pagando anche con la vita, per i diritti umani in Iran. Il Premio Nobel assegnato a Mohammedi simbolicamente riconosce l’impegno del movimento di popolo “Donna, vita, libertà” che da oltre un anno scende in piazza nel paese sciita.
Mohammadi è impegnata nel campo dei diritti dal 2016, è stata incarcerata frustata e la stessa sua salute messa a rischio. La famiglia, marito due gemelli il fratello, non hanno che scarse notizie e non l’incontrano da anni. La sua incrollabile e instancabile resistenza la rende simbolo della lotta delle donne iraniane all’indomani delle proteste di piazza in Iran scatenate dall’arresto e morte di Masha Amini ai primi di settembre del 2022. La ragione di tanto accanimento nei confronti delle donne e delle ragazze che rifiutano di indossare il chador, risiede nell’accusa che il regime rivolge alle donne ribelli. Non commettono solo un reato contro la morale o la legge islamica della repubblica iraniana: le manifestanti sono accusate del grave reato di moharebeh, essere nemiche di Dio.
La Guida suprema Khamenei definisce la protesta e l’assegnazione del Nobel come “una cospirazione dei paesi dominatori che vogliono indebolire la forte Repubblica Islamica”, e i manifestanti “al servizio di un piano diabolico dei nemici”. Ha ribadito l’accusa più grave nei confronti delle donne e in Iran questo genere di accusa può significare la pena di morte. Il moharebeh è usato oramai da decenni per mantenere il controllo autoritario sulla popolazione, e per infliggere pene spropositate contro infrazioni pericolose per la stabilità politica.
Il reato è coerente nella visione della Repubblica islamica che fonda la sua legislazione sulle fonti coraniche e vede nella rivolta contro le autorità statali una ribellione nei confronti dell’autorità superiore anche al capo di stato, Iddio, il clemente e misericordioso, la cui parola rivelata nel Corano, prima fonte del diritto islamico, dirige e regola il governo e la guida suprema. Non è un reato rivolto solo verso le autorità civili e religiose, l’accusa di essere nemica di Dio giustifica la violenza repressiva, atroce dura inflessibile dei pasdaran, il corpo militare religioso a difesa dei principi basilari dello Stato iraniano. Il principio violato non riguarda più solo leggi e regolamenti è un’offesa verso il trascendente, verso la divinità. Questo reato contemplato dal codice iraniano e l’accusa delle guide religiose iraniane rivela il coraggio indomito di donne e uomini che sono in piazza. Porre la questione in termini di reato contro Dio impedisce ogni timido sostegno dei politici riformisti, indigna la parte di popolazione più tradizionalista e religiosa, carica sulle spalle delle manifestanti e dei manifestanti un fardello enorme, in una società culturalmente musulmana sebbene non tutta confessionale, e nonostante quarant’anni ininterrotti di regime religiosamente militante, una società ancora capace di desiderare un mondo di diritti e libertà.
La crisi profonda che ha colpito il paese dopo la pandemia di Covid, la mancanza di prospettive per il futuro, in particolare per le generazioni che non conoscono altro mondo che la Repubblica sciita e il suo modello di società, ha alimentato proteste e rabbia e la conseguente repressione fatta di torture, processi sommari e condanne a morte. La rivolta attuale ha radici profonde nella società iraniana, e le proteste precedenti, che Narges Mohammadi ha vissuto da protagonista, secondo Ali Fathollah-Nejad, studioso iraniano dell’American University di Beirut, hanno innescato un processo forse rivoluzionario coinvolgendo le generazioni più giovani.
Il sistema di governo islamico è permeato di ipocrisia sin dai primi anni della Rivoluzione, osserva la studiosa Sara Bazoobandi del German Institute for Global and Area Studies, ha sempre manipolato e oppresso il popolo iraniano, prima attraverso la propaganda sui due canali televisivi di stato, poi nell’epoca di terrore della guerra Iran-Iraq obbligando la maggior parte della popolazione alla pratica del silenzio, quale opportuna strategia di sopravvivenza personale e familiare. Il controllo della comunicazione e della diffusione di notizie si è rotta con le vicende attuali. Il 60% della popolazione in Iran è under 40, e oggi la generazione ticktocker ha una connettività totalmente differente, guarda via internet mondi diversi e elabora una idea di paese in cui vivere, aspettative e progetti di vita opposti all’attuale mondo religioso e islamico.
Le restrizioni governative delle piattaforme social non sono più ostacoli, si stima che i network privati virtuali o VPN, permettano l’esistenza di oltre 24 milioni di utenti Instagram in Iran. Auspicabile che attraverso questi canali si diffonda prepotentemente la notizia del Premio Nobel a Mohammadi, che rinchiusa in prigione rischia di non poter nemmeno andare a ritirare il riconoscimento.
La cronaca aggiorna tragicamente il numero delle incarcerazioni e delle esecuzioni capitali a cui risponde una continua e capillare opposizione. Nelle città iraniane si susseguono piccole iniziative, sparse e diffuse nei quartieri, nelle stazioni delle metropolitane, nei bazar e in ogni luogo di studio e lavoro, a volte di notte, segnali della volontà di riconquistare voce e visibilità. Un futuro diverso sogna la generazione di ragazzi e ragazze che con profonda disperazione, bruciano veli e si tagliano capelli in segno di lutto, sfidando la morte e l’incessante violenza del regime segno anche di una sua sostanziale debolezza, da ieri minata ancor di più da un Premio Nobel per la Pace nel nome della speranza di un nuovo inizio per l’Iran e il suo popolo.
Zan, Zendegi, Azadi,per Narges Mohammadi.
Autrice
Giuliana Cacciapuoti laureata in lingue e civiltà orientali sezione vicino e medio oriente e in lingue e letterature straniere dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli studia, progetta e insegna lingua e cultura araba e musulmana nel mondo da oltre quarant’anni. Propone uno sguardo non convenzionale delle realtà del mondo arabo e musulmano nel contesto attuale della società globale. Nel 2014 ha fondato GCCK – Giuliana Cacciapuoti-Connecting Knowledge (https://www.giulianacacciapuoti.it/ )- per unire idee e visioni opposte, far dialogare e cooperare personalità differenti in modi inaspettati, valorizzare conoscenze, competenze ed esperienze diverse. Insegna nei corsi di alta formazione e specializzazione “Comunicare con l’Islam. Pubblica articoli e contributi scientifici su riviste accademiche e sul suo sito. Autrice di testi, articoli e pubblicazioni scientifiche, per offrire al pubblico non musulmano uno sguardo vario e approfondito del Nord Africa e del Medio e Vicino Oriente. Nel solco di questo impegno ha pubblicato nel 2022 “Donne musulmane: un ritratto contro stereotipi e luoghi comuni”.