Di qualunque credo e religione noi siamo, il Natale arriva come un momento di attenzione ai reali valori della vita, agli affetti, alla meditazione sul percorso personale, ma l’aspetto consumistico prevale sempre più violentemente su quello intimistico della riflessione.
Fin dall’inizio del mese di ottobre, due mesi prima del Natale, i negozi e i supermercati sono super addobbati di luci e dolcezze che tradizionalmente si accompagnano alle festività, per sollecitare, anche in modo subliminale, all’acquisto e al consumo.
Le immagini che passano su riviste e media sono sempre più quelle di una famiglia completa di figli, genitori, nonni e zii, felice e affettuosa, stretta intorno ad un focolare caldo e rassicurante, rallegrata da una serie di pacchetti regalo, finemente incartati a testimonianza della cura amorevole che unisce tutti i familiari.
La cosa incredibile è che queste immagini colorate e calde sono l’intermezzo pubblicitario ad altre immagini, fredde e crude, quelle dei Telegiornali che ci proiettano altrettanto violentemente su scenari di guerre terribili, con devastazioni quotidiane e centinaia di feriti e morti.
Sono guerre che possono sembrare lontane da noi, non appartenere alla nostra realtà quotidiana, fatta di impegni e stress, quando invece sono molto vicine a noi, ad appena duemila chilometri da casa nostra, come un viaggio da Milano a Roma e ritorno.
Ma la guerra non è una sola, dal febbraio 2022 viviamo un’altra guerra altrettanto vicina, più o meno alla stessa distanza.
Nella notte di Natale, nel lontano 1914, in Belgio, nelle Fiandre, ci fu la tregua tra soldati tedeschi e inglesi che si scambiarono gli auguri, gridando dalle trincee. Accadrà lo stesso questo Natale?
Si fermeranno gli attacchi almeno per quella notte, riusciremo a riflettere, per un attimo, sull’inutilità di massacri e devastazioni?
Quanti bambini, donne, uomini e intere famiglie non godranno di quell’atmosfera di piena gioia e condivisione che la pubblicità, spesso lontana dalla realtà vera, fatta di povertà, di anziani abbandonati, di persone sole, di famiglie in conflitto, ci mostra?
E nei territori di guerra si vivrà sempre la paura, il terrore della morte e la perdita di tutto ciò che significa cibo, casa, famiglia e sicurezza?
Natale viene dal latino cristiano “natalem Christi” ovviamente da “natus” ovvero nato, Cristo nato, quello che per molti è il messia, il portatore di pace, l’unto del Signore che scende in terra per dare vita ad una nuova alleanza con l’eterno creatore e far iniziare un’epoca di pace e prosperità fino alla fine dei tempi.
Chi più di noi e ora ne ha necessità?
Voglio citare un poeta bergamasco che scrive in modo diretto e semplice, ma significativo:
“Credo in un Natale da vivere ogni giorno che unisce noi agli altri e che fa bene al cuore.
Credo in un Natale di riflessione, dove la gente sa usare dolcezza, rispetto e gentilezza, sa apprezzare appieno la vita e l’ascolto della propria coscienza.
Credo in un Natale, in cui i cittadini, coltivano grandi orizzonti, danno il meglio di sé per costruire ponti verso l’altro, voler bene a tutto e a tutti, seminando ogni giorno con umiltà e con un cuore grande, piccole, ma buone azioni.
Credo in un Natale di collaborazione, amicizia e impegno per prendersi cura dell’ambiente, del territorio, come se fosse un giardino, da coltivare e rispettare, per farlo diventare un paradiso divino.
Credo in un Natale che costruisce la pace, nella cultura, nel dialogo e nella vera fraternità. La strada si trova nella pratica della solidarietà, giustizia, verità, amore e libertà per tutta l’umanità.
Credo in un Natale, ricco di sentimenti buoni, che fanno mantenere porte aperte, per l’accoglienza, dove tutti i cittadini del mondo trovino cibo, serenità e sicurezza.”
Anch’io
credo e sono sicura che con l’aiuto delle nuove generazioni, dei
nostri figli e delle tante persone di buona volontà, che sono tra
noi, ce la faremo e costruiremo un futuro ricco di natali migliori.