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La domenica di resurrezione o Pasqua è una celebrazione della cultura cristiana che ci racconta la resurrezione del Cristo dal regno dei morti.
Per la teologia cristiana la Pasqua contiene il mistero del cristianesimo: attraverso la sofferenza della passione, il Cristo si è sacrificato per liberare l’uomo dal peccato e con la Resurrezione ha sconfitto la più grande paura dell’uomo ovvero la morte, indicando la via, il risveglio alla vita e ha celebrato l’alleanza tra Dio e gli uomini.
La Pasqua si completa con la Parusia, cioè la seconda venuta, che porterebbe a compimento le Scritture.
Della resurrezione si parla nel libro del Nuovo Testamento, si descrive l’avvenimento come accaduto il terzo giorno dalla sepoltura dopo la crocifissione ad opera dei Romani che occupavano la Palestina intorno al 30 d.c.
Uno dei primi riferimenti alla sepoltura di Gesù si trova in una lettera di San Paolo ai Corinzi dell’anno 54, dove l’apostolo riferisce di aver saputo della morte e resurrezione di Gesù.
Nei quattro vangeli cristiani, redatti tra il 66 ed il 95 si cita che la sera della crocifissione tali Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo abbiano chiesto a Ponzio Pilato, allora prefetto della Giudea, il corpo di Gesù e, dopo averne ottenuto il permesso, lo coprirono con un telo di lino e lo deposero in una loro tomba.
Gli scavi, avvenuti in quei luoghi, sono la prima concreta prova archeologica che dimostra l’effettiva esistenza di una cittadina chiamata Nazareth e che, a giudicare dalle tazze in calcare ritrovate, fosse abitata quasi certamente da Ebrei osservanti ai tempi di Gesù.
Alcuni archeologi hanno compiuto ritrovamenti eccezionali come le scatole funerarie o ossari del sommo sacerdote Caifa e di Giacomo il Giusto, presunto fratello o fratellastro o parente stretto di Gesù di Nazareth,scatole risalenti al primo secolo d.C.
Presenterebbero un’iscrizione in aramaico sul fianco: Ya’akov bar-Yosef akhui diYeshua (Giacomo figlio di Giuseppe, fratello di Gesù).
Se fossero autentiche, come sostengono alcuni studiosi evangelici tra cui Ben Witherington III, sarebbe la prima prova archeologica in assoluto a conferma della storicità del nazareno.
Insieme a questi ritrovamenti, vi sono numerose scoperte archeologiche di luoghi menzionati nei Vangeli, come nel caso di una grande sinagoga datata primo secolo d.C. ritrovata a Magdala nel 2009, sul Mar di Galilea, dove si dice che Gesù predicò al popolo.
Nel 2008, alcuni archeologi israeliani hanno annunciato la scoperta di una tavoletta in pietra del primo secolo d.C., scritta in ebraico antico, che racconta di un angelo Gabriele e di una figura messianica che avrebbe patito una passione e sarebbe morto, risorgendo dopo tre giorni.
In un piccolo libro del 1114, si legge che alcuni ebrei ai tempi di Gesù aspettavano “uno simile a un figlio d’uomo” (Daniele 7:13-14), che sarebbe arrivato sulle nuvole del cielo.
Secondo quanto dichiarato dallo studioso israeliano David Flusser che ha sempre creduto ai Vangeli come basati su fonti scritte, i Vangeli sinottici “preservano una descrizione del nazareno che è più attendibile di quanto si pensi comunemente”
In un altro interessante libro del 2004: “The Date of Mark’s Gospel” (“datazione del Vangelo di Marco”), lo storico Crossley contesta più di un secolo di studi sul Nuovo Testamento, affermando che il vangelo di Marco non è stato scritto tra il 60 ed il 70 d.C., come sostenuto da studiosi antichi, ma è stato scritto trent’anni prima, addirittura tra cinque, dieci anni dopo la crocifissione del Cristo.
La domanda che ci si pone è: a qualsiasi confessione religiosa si appartenga o anche essendo agnostici o atei che significato assume, al di là della storia, il racconto della resurrezione?
La morte, costante pensiero umano fin dalla comparsa della specie sulla terra, ha sempre rappresentato per l’uomo un momento ineluttabile di grande paura e dolore.
Con la morte, che l’uomo emozionalmente rifiuta, si respinge la realtà di fine della vita sia per istinto di sopravvivenza sia perché la fine comporta l’annullamento del sé, dell’evoluzione che si è raggiunta e delle relazioni affettive.
Ciò che ci attende dopo il trapasso ha scatenato le più fervide fantasie nelle varie religioni che offrono scenari tra i più stimolanti e rilassanti.
L’essere umano possedendo l’immagine del futuro si figura la morte, il dopo, la teme, la evita e anche se ogni giorno viene messo di fronte ad essa, non ne vuole parlare, la considera un fatto ineluttabile, ma cerca di esorcizzarla in ogni modo anche se il mondo dei media spesso tende a spettacolarizzarla.
Se vi fosse certezza di una resurrezione l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della vita e del prossimo potrebbe essere diverso.
Qui entra in campo la fede.
“ NASCERE NON BASTA.
E’ PER RINASCERE CHE SIAMO NATI.
OGNI GIORNO”
(Pablo Neruda)