Challengers
Regia di Luca Guadagnino
con Zendaya, Josh O’Connor, Mike Fiast
In sala dal 24 aprile
Quattro stelle
Quante volte ho pensato a Jules et Jim, il mitico film di Truffaut dove i due amici del cuore si contendevano la stessa donna, Catherine, indimenticabile Jeanne Moreau. Catherine sposerà Jules, amerà Jim, starà con tutti e due. In mezzo la guerra e a far da collante fra tutti loro la letteratura, l’arte, la musica. Anche nel film di Luca Guadagnino, il più carnale dei nostri registi, Patrick e Art, tennisti e amici fin dall’adolescenza, si innamorano della stessa donna, Tashi Duncan. Lei sposerà Art, dopo essere stata un anno con Patrick con cui poi tradirà il marito. L’amicizia fra i due uomini, pur tra mille scontri, non si spezzerà, ma quello che davvero lega i tre protagonisti è il tennis, uno sport che mai avremmo pensato potesse essere così erotico. Guadagnino filma le partite come fossero incontri di boxe, come se Toro scatenato tenesse una racchetta in mano invece di indossare i guantoni, Ci sono come sul ring le gocce di sudore, la fatica, i volti deformati dallo sforzo e dall’adrenalina che sale. I match sul campo da tennis diventano dialoghi sessuali ancor più che sentimentali, dove però il fine è uno solo: scendere fino al cuore delle relazioni fra le persone. Che cosa conta davvero? Cosa fa nascere l’amore? Su cosa si basano le relazioni? Quanto contano la stia, la sfida, il narcisismo? In campo fra i contendenti, in amore come nello sport, ci sono l’attrazione, la solidarietà, la competizione. O forse tutto si riduce a puri rapporti di forza. E forse una risposta non c’è.
Un progetto ambizioso alle spalle del film, una scrittura tagliente, dialoghi brillanti, battute memorabili, un montaggio all’ultimo respiro, una musica martellante, inquadrature più veloci della luce che hanno lo stesso affanno di un orgasmo. Questo è il cinema per Luca Guadagnino, qualcosa che si propone di raccontare soprattutto i corpi completi di umori e emozioni. Traguardi raggiunto: il regista può mettere in campo due vampiri, come in Bones and all, può avvicinarsi dolcemente a una passione fra due giovani (Chiamami col tuo nome), può rifare un film culto (Suspiria), poco importa, la sua macchina da presa andrà sempre alla ricerca della carne che freme.
I protagonisti, come tutti gli eroi che si rispettino, sono giovani e belli. Tisha è la splendida Zendaya (vista in Dune e in Spiderman) un fascio di nervi, muscoli e determinazione, Patrick è Josh O’Connor (già protagonista di La chimera), Art è Mike Fiast (visto nel remake di West Side Story). Tisha è una promessa del tennis, ma la sua carriera verrà interrotta da una brutta caduta, così si dedicherà al marito Art, diventando la coach più severa e brava che si possa immaginare. Patrick invece si perderà, dopo prove di eccellenza, perché nello sport (come nella vita), il talento da solo non basta per diventare i migliori. Chi vince deve allenare il talento e scegliere la strada della disciplina e della fatica. I belli e maledetti finiscono per perdere.
I tre amici, raccontati in un lungo avanti e indietro della narrazione, scandito da didascalie precise, si ritrovano per una sfida all’Ok Corral in un Challenger, che è un evento di livello inferiore nel mondo dei tornei di tennis professionistici. Art e Patrick si giocano tutto, il primo deve risalire la china e ritrovare la sicurezza del vincente, il secondo scommette l’ultima carta, perché la sua china in discesa è prossima al naufragio finale.
È il tennis a fornirci la chiave di lettura di tutto, il tennis come metafora esplicita delle relazioni e le partite sono più erotiche delle brevi scene di sesso, solo suggerite, perché quel che conta è il senso della relazione.
Tutto si confonde: quando si parla d’amore, sembra si stia parlando di tennis, quando si gioca un match è come se si dovesse raggiungere l’orgasmo. Capita però, ma di rado, che l’amore sia davvero solo amore e il tennis solo tennis. Un gioco spericolato, anche per il regista, che colpisce nel segno grazie a una direzione d’attori eccelsa, con tre protagonisti sudati, affaticati e così belli da fare quasi male fino all’insostenibile climax della scena finale: meravigliosa, perché anche a noi seduti in sala manca il fiato come a Patrick e Art che nella partita cruciale riescono a confessarsi tutto. E succede quello che Tashi spiega all’inizio del film: quando giochi a tennis c’è un momento di assoluta perfezione, non importa chi sta perde, non importa chi sta vincendo, a contare è solo la relazione fra i due sfidanti. Perché quando si comunica, quando c’è intesa e la palla vola sfidando la perfezione, è come quando si è innamorati. Guadagnino riesca a raccontarlo con la sua macchina da presa che va veloce, si ferma, riaccelera, cambia inquadratura, si blocca sulle gocce di sudore, sugli sguardi, sui sorrisi. Sui suoi straordinari attori, facendo provare anche a noi spettori la sua venerazione per il cinema.
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