Le pescatrici delle Eolie cadute nell’oblio in cui troppo spesso cadono le storie delle donne, ritornano alla memoria e alla ribalta con il nuovo romanzo di Francesca Maccani “Agata del Vento” (Ed. Rizzoli).
Come afferma la stessa autrice grazie al contributo della studiosa Macrina Marilena Maffei queste lavoratrici non si sono perse nel ricordo e nel contributo rilevante dato ai territori in cui vissero.
Francesca Maccani visita quei luoghi, li scandaglia in ogni anfratto di terra e di mare, ricerca negli archivi, ascolta ed assorbe dentro di sé le testimonianze e i ricordi della gente del luogo. E come si era verificato per le tabacchine del suo precedente romanzo di successo “Le Donne dell’Acquasanta” sono, questa volta, le pescatrici che la prendono per mano, l’accompagnano “per mesi con le loro vicende, con le loro voci, con i segni tangibili della loro presenza sotto forma di incontri e coincidenze”.
Il racconto così prende forma e si dipana in un periodo che va dalla fine dell’Ottocento ai primi anni del Novecento. Le pescatrici, ogni notte, si allontanavano dalla costa, calavano le reti che a quei tempi erano costruite con lo spago e aspettavano pazienti. Quell’attesa era colma delle loro storie e dei loro canti. Ogni tanto bevevano un sorso d’acqua da piccole brocche di terracotta riposte al sicuro in un angolo della barca., poi con la forza delle braccia issavano le reti e con vigorose remate ritornavano alle isole. Lavoratrici che si orientavano guardando le stelle che diventavano bussola, che sapevano nomi e forze dei venti e conoscevano quei fondali come le loro tasche. Rientrate all’alba sulla terraferma aiutavano gli uomini a coltivare la terra, un lavoro duro e faticoso per cercare di placare la Fame con un po’ di orzo, di grano, qualche patata, un grappolo d’uva e un po’ di legumi. Così giorno dopo giorno fino a che l’età avanzava veloce e si mangiava la loro vita.
Tra di loro la giovanissima Agata, nata su una spiaggia da una madre che avverte le doglie del parto proprio mentre pescava e che riesce a farla nascere sulla terraferma poiché un parto dentro un gozzo oltre ad essere pericoloso “portava male”. Agata cresce e diventa, giovanissima, una pescatrice di Lipari ma il destino e il Dio Eolo le riservano un dono, un potere misterioso che non solo la rende potente guaritrice come altre ma le permette di acchiappare frammenti del futuro.
Tra le pagine si dipanano i fili di riti ancestrali, di arcani isolani che si perdono nella notte dei tempi e di cui le donne sono tramite o nuova rivelazione. Tra preghiere, litanie, antiche formule, conoscenza delle erbe e dei fenomeni naturali, istinto naturale e sensibilità, le lipariote dominano quel tempo e quello spazio di fame e di miseria rendendolo meno pericoloso e più sopportabile a chi vi dimora. Sono donne che si sacrificano per la terra, per la famiglia, per gli altri e le altre abitanti, celando segreti inconfessabili e rispettando formalmente ruoli e tradizioni che le imbrigliano nello stereotipo femminile del tempo e del luogo: “ I masculi non ne vogliono fimmini troppo scaltre. Vogliono essere serviti e sapere che la moglie sta tutto il tempo appresso a loro, un po’ come fanno i picciriddi. Ne avete visti mai uomini maritati che sanno stare soli? Io mai.”
Tutte pagano un prezzo troppo alto per mantenere le apparenze ma Agata non cede a quei retaggi, a quei modelli imposti. Agata desidera libertà: la libertà che le hanno insegnato le onde, il mare, le tempeste, gli sguardi fieri e coraggiosi dei pescatori. Non si arrende, riuscendo a dominare anche quel Dono che potrebbe legarla per sempre alla terra della sua isola.
Agata vede troppe ingiustizie sui corpi e sulle menti delle donne, troppe violenze che in un caso portano all’uccisione della cugina. Questo lontano ed efferato femminicidio del 1904 è realmente accaduto e Francesca Maccani dopo avere spulciato le cronache dell’epoca decide di inserirlo nel romanzo cambiando il nome reale della vittima Teresa in Marisa per rendere omaggio a Marisa Leo vittima del 2023, intrecciando così passato e presente.
Lo scorrere delle pagine è sempre intinto di panorami di rara e selvaggia bellezza. Lettori e lettrici diventano viandanti e si ritrovano a camminare su alte rocce a picco sul mare, a sentire la forza del vento di scirocco che inquieta i pesci e innervosisce gli umani, ad annusare l’odore dei capperi, dei corbezzoli e delle erbe selvatiche, ad osservare le lingue di fuoco proveniente da Stromboli che si stagliano nella notte scura. E in quei lembi di terra quasi incantati emerge Agata che rappresenta in fondo la forza e il coraggio di tante donne di tanti tempi. Francesca Maccani riesce a trasformare i sussurri in voci e come afferma lei stessa nella Nota dell’Autrice “…nonostante io abbia cercato di essere il più scrupolosa possibile nei dettagli e nelle mie ricerche, il romanzo, appunto perché di romanzo si tratta, si prende delle libertà, per esigenze narrative, per scelta personale e perché ho voluto aggiungere un pizzico della magia che ho respirato sulle isole anche in questa storia…”.