Nascere femmina, in tante parti del mondo, è una disgrazia o una maledizione ma quando, in Iran nel 1990, Pegah viene alla luce, suo padre è felice. Stringe forte al petto sua figlia e promette che non permetterà mai che qualcuno possa farle del male, umiliando la sua dignità o imbrigliando la sua libertà.
A Teheran, purtroppo, l’aria che si respira quando Pegah è ancora una bambina non è delle migliori,
lo racconta lei stessa nel suo romanzo “La notte sopra Teheran” (ed. Garzanti 2024), in gran parte autobiografico. Già nel 1996, in prima elementare, il primo giorno di scuola le maestre cercavano di indottrinarla: “…il nostro è un grande Paese…alcuni sono invidiosi della nostra grandezza, ne sono spaventati e provano tutti i giorni a farci del male…Ripetete dopo di me Marg bar Amrica marg bar Esraeil. A morte l’America, a morte Israele! Il grande e piccolo diavolo”
Pegah pur essendo molto piccola mostra perplessità ma ingenuamente trasforma quel rito in una sorta di gioco e si adegua. Nella sua famiglia si respirava un’aria diversa, si raccontavano storie, si leggevano poesie ma al di fuori della porta di casa la coltre dei divieti era troppo pesante. Erano gli anni in cui si iniziava a parlare di ufficializzare la “gasht ershad” la polizia morale.
Il padre che già lavorava come ingegnere a Potenza decise insieme alla moglie di lasciare definitivamente l’Iran e trasferirsi in Italia. Pegah non voleva partire, non voleva abbandonare la sua casa, i suoi amici, addirittura si arrabbiava, non capendo che la sua stessa vita era in pericolo e che i genitori con l’esilio desideravano proteggere soprattutto lei e la sua libertà.
Oggi Pegah è una donna libera, determinata, un’ingegnera, un’attivista, che non esita a dare risonanza alla voce delle donne iraniane. Non può ritornare più in Iran perché rischierebbe la prigione.
La sua è la stessa sorte che hanno subito altre iraniane oggi scrittrici, registe, artiste o addirittura premi Nobel come Shirin Ebadi. Proprio quest’ultima, in un’intervista rilasciata a Lilli Gruber dopo l’undici settembre affermò che:” Le donne sono vittime di un uso politico e arbitrario dell’Islam e gli occidentali ritengono di potere sganciare la democrazia con bombe sulla testa della gente: non è questa la soluzione…bisogna sostenere le battaglie femminili. Noi siamo una nazione di donne consapevoli e istruite, non siamo più disposte a stare zitte, le donne con le loro battaglie sono le avanguardie delle democrazie”.
E se sicuramente conosciamo Azar Nafisi e il suo “Leggere Lolita a Teheran”, dovremmo iniziare ad approfondire e conoscere tutte le altre, dalle più giovani alle più anziane. A tal proposito ricordiamo l’iniziativa editoriale dell’otto marzo 2023 della casa editrice E/O con la nuova edizione di cinque libri di cinque scrittrici iraniane diverse fra loro per età e storia ma che raccontano” le mille rivoluzioni di un Paese senza pace” tutte accomunate dall’esperienza dell’esilio per potersi esprimere liberamente: Nahal Tajadod, Negar Dyavadi, Shokoofeh Azar, Fariba Hachtrudi, Parisa Reza.
Si parla infatti di scrittura femminile iraniana dell’esilio, ma aggiungeremmo anche di artiste dell’esilio: basti pensare a Maryane Satrapi, regista sceneggiatrice e illustratrice di fumetti e al suo “Persepolis”. Anche lei a soli nove anni fu mandata a studiare in Francia.
Sono solo alcuni esempi per ricordare la fucina di talenti in fuga dall’Iran che continuano a lottare, a dare voce a chi protesta e spesso muore per la libertà.
Pegah Moshir Pour attivista di diritti umani e digitali , promuove nelle scuole l’Empowerment femminile. Lotta anche contro gli stereotipi di genere soprattutto su quello che impedisce alle ragazze di proseguire negli studi e nelle carriere scientifiche. Così ha dichiarato in un’intervista partendo dalla sua esperienza personale di studentessa italiana:” Dire che le donne sono incapaci di fare i calcoli significa sminuire non la singola studentessa ma tutto il genere femminile. E questo lo devono capire le donne per prime: per questo chiedevo alle docenti di smetterla di inculcare queste scemenze nella testa delle ragazze”
In Iran sono tantissime le donne laureate in materie Stem, la percentuale è del 60%. Inoltre il 90% delle donne è alfabetizzato e il 70% laureato.
Pegah, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, ha sentito il dovere di accrescere il suo impegno per far si che non vengano mai spenti i riflettori sul suo Paese.
Il suo passaporto iraniano oggi è carta straccia e lei è inserita nella “lista nera degli iraniani” ma non ha paura.
Le auguriamo di poter ritornare presto e in libertà nella sua splendida ma martoriata terra.
A noi non resta che iniziare a conoscere o approfondire le scrittrici iraniane, viaggiare con loro su quelle strade di carta che con coraggio e fatica hanno costruito e ricordare sempre una frase di Azar Nafisi: “Esistono spazi culturali che non appartengono a nessuna parte politica, c’è nei libri un linguaggio comune ed universale che sfida i confini e le frontiere.”
Jin Jiyan Azadì. Donna, Vita Libertà.