Un villaggio sperduto dell’Anatolia. Gli abitanti spiegano a chi arriva che lì ci sono solo due stagioni, la neve dell’inverno e le erbe secche dell’estate che non sono state nutrite dalla primavera. Non a caso il titolo originale del film di Nuri Bilge Ceylan è proprio Les Herbes sèches.
Ed è proprio in questo luogo fuori dal mondo che Samet è finito a insegnare nella locale scuola media educazione artistica, sperando in un trasferimento a Istanbul che tarda ad arrivare. È un uomo senza qualità, che vive sotto la soglia del rischio dell’agire e si accontenta di essere spettatore delle vite altrui che congela in fotografie che punteggiano il film.
“Se cominci a preoccuparti per ogni essere vivente, non durerai a lungo da queste parti”, gli dicono e Samet ne prende atto, abbassando ancor di più la soglia della sua sensibilità.
Sembra che non succeda nulla, il regista apparecchia con cura la sua storia, pur evitando ogni lungaggini, ci prende per mano e ci porta con splendidi fermo immagine nella tradizione più profonda di quelle terre aspre che mostrano la bellezza solo a chi sa cercarla. Con impercettibili slittamenti nel quotidiano, una conversazione, una cena, suggerisce l’autoritarismo e la cappa di repressione che dominano su tutti, complice un prono bigottismo capace solo di seminare sospetti, ansioso di compiacere l’ottusità del potere centrale.
Samet tira avanti la sua vita pallida e si crogiola nell’impotenza dell’agire. Eppure sarà proprio lui con la sua ignavia il grimaldello verso una possibilità di riscatto, perché tutto l’ardore che gli manca e gli fa paura lo cerca negli altri. Soprattutto nelle donne. Ecco così entrare in scena le vere protagoniste, una sua allieva, ragazzina fiera animata da tutte le contraddizioni dei suoi 13 anni e una maestra militante che ha perso una gamba in un attentato e cerca di ricostruire la sua sicurezza e la sua femminilità. Saranno proprio le due figure femminili a scardinare l’immobilità della vita del villaggio e a mettere in discussione una mentalità antica in cui le loro azioni irrompono come sassi in uno stagno: una storia di molestie e un’intricata dialettica maschile femminile.
Se 197 minuti vi sembrano troppi per un film, vi sbagliate, perché a volte non conta la durata ma il modo. Che qui è fatto di bravura e leggerezza. Di stile, intelligenza, amore per una terra piena di dolore (e di errori). Ma sopra a tutto ci sono i due personaggi femminili: sono liberi, fuori dagli schemi, ragazze/donne che si danno da fare, che non hanno paura di sbagliare, che si dibattono e si interrogano ma che sono vive, così vive come nessun uomo riesce più a essere. Forse in parte l’anziano del villaggio ed è come se il regista ci stesse dicendo che se il passato possedeva fierezza e voglia di lottare, oggi, se vogliamo trovare salvezza, è sulle donne che dobbiamo fare affidamento.
Il film era in concorso al Festival di Cannes 2023 che ha premiato la splendida Merve Dizdar (ha il ruolo della maestra combattente) con la Palma per la migliore interpretazione femminile.
Regia di Nuri Bilge Ceylan
con Deniz Celiloğlu, Merve Dizdar, Musab Ekici
Nazionalità: Turchia, Francia, Germania, Svezia
Durata: 197 min
Distribuzione: Movies Inspired
Uscita: 20 giugno 2024
.