Il libro collettivo “Vietato a sinistra” Castelvecchi editore, a cura di Daniela Dioguardi è un ottimo esempio di dialogo a più voci su temi che di solito diventano difficili da affrontare a sinistra, che risultano “divisivi” per questo in funzione di una falsa inclusività si tengono un po’ in disparte. Parliamo di maternità surrogata, di sistema prostituente, le ripercussioni della logica paritaria su affido e non solo, di identità di genere. Sul tema della prostituzione avevo già scritto qui.
I femminismi non possono tacere su queste tematiche e devono farsi sentire, devono avere pari cittadinanza tutte le idee, affinché l’inclusione non sia grimaldello per la loro cancellazione o oscuramento. Siamo giunti al paradosso che associazioni come Udi Ferrara, Modena e Ravenna si sono viste escluse dal RUNTS (registro unico nazionale del terzo settore) dell’Emilia-Romagna perché il loro statuto non risultava consono alla democraticità e apertura che deve caratterizzare le APS. Ovvero, le associazioni devono aprire anche agli uomini per essere considerate idonee al registro citato e per poter accedere ai finanziamenti predisposti. Ovviamente l’Unione donne in Italia ha sin dalle sue origini obiettivi, scopi e componenti ben precisi, altrimenti non si sarebbe neanche formata. Questi ed altri temi sono trattati nel libro collettaneo.
Parlare di maternità e di come oggi agisce la legge 54/2006 sull’affido condiviso per esempio è fondamentale per scoperchiare un vaso di Pandora che rende la vita difficilissima a tante madri e figli. Ne parliamo e lo approfondiamo con l’autrice Marcella De Carli Ferrari, insegnante e coordinatrice pedagogica nella scuola statale.
Come agisce la legge 54/2006? Cosa la rende pericolosa per le madri e per i figli?
La legge 54 viene introdotta nel 2006 per definire nell’ambito delle separazioni, sia consensuali che giudiziarie, l’affidamento dei figli minori. È una legge voluta da ogni schieramento politico e votata in parlamento alla quasi totale unanimità, proposta dalle associazioni dei padri separati (le stesse del Ddl Pillon) e sostenuta anche da certo femminismo che, nell’ambito della politica paritaria, credeva che si sarebbero potuti spingere
gli uomini a farsi carico dei figli, liberando le donne da quello che veniva considerato un limite, cioè la maternità e la cura.
Questa legge introduce un termine ambiguo, dal momento che non si fonda su dati di realtà, come quello di “bigenitorialità”. Questa terminologia sottende a un pensiero totalmente ideologico che impone ai bambini la frequentazione di entrambi i genitori a prescindere dai loro desideri e dai loro bisogni e che reintroduce una sorta di diritto paterno e un obbligo per i figli. Spesso le madri sono costrette a farsi carico della mediazione tra i figli e l’ex coniuge, pena l’accusa di essere dichiarate ostative, alienanti, simbiotiche. E laddove non riescano a trovare un accordo consensuale e finiscano nel tritacarne del sistema giudiziario divengono ulteriormente vittime di violenza istituzionale.
Di fatto attualmente le donne che decidono di separarsi sono sottoposte al ricatto sui figli. Si impone spesso un distacco fisico e psicologico molto doloroso per tutti, soprattutto quando si tratta di bambini molto piccoli. Le donne cedono sul fronte economico rinunciando agli assegni di mantenimento per loro e per i figli pur di non perdere continuità di relazione con i bambini, perché spesso quello che accade nelle proposte di separazione è esattamente quello che veniva criticato nel disegno di legge Pillon, cioè lo scambio tra assegno di mantenimento e giorni di frequentazione.
È evidente come questa legge sia un’arma in mano agli uomini per attaccare il legame primario dei figli con le loro madri.
Come si costruisce il legame materno con i figli?
Il legame materno è un legame naturale che si costruisce già durante il periodo di gestazione e prosegue durante il primo anno di vita con quella che definiamo esogestazione, ovvero gestazione fuori dal corpo. Fino ai tre anni il bambino fatica ancora a riconoscersi come essere distinto dalla madre. Quindi attraverso una lenta evoluzione avviene l’acquisizione della consapevolezza di sé intorno ai sette anni, periodo in cui la necessità della relazione primaria resta imprescindibile, così come il bisogno di continuità e permanenza.
È durante tutto il periodo della seconda infanzia che si può osservare come l’interiorizzazione di una base sicura sia la risposta alle necessità sociali dei bambini, fino ad arrivare alla spinta evolutiva della pubertà, momento di ricerca di un lento distacco che permette una nuova fase di sviluppo. Importante ricordare come per gli esseri umani sia la madre la prima base del cosiddetto attaccamento sicuro e quindi una società civile che voglia dirsi tale dovrebbe preservare, proteggere e tutelare ogni relazione madre/bambino-a.
Qual è il clima in Italia?
In Italia attualmente abbiamo un attacco al legame materno su vari fronti. Sul fronte sociale le madri non vengono messe nelle condizioni di poter conciliare i propri desideri di vita e di lavoro con la maternità. Sul fronte culturale abbiamo chi vorrebbe cancellare l’importanza del legame materno attraverso l’affermarsi di un pensiero denigratorio verso l’amore primario, creando un immaginario di madre colpevole di “troppa cura” e che vediamo esplicitarsi anche in ambito formativo e nelle università . Sempre relativamente all’accademia abbiamo il
fronte della psicologia giuridica con i sostenitori della cosiddetta alienazione parentale, in cui le madri vengono definite simbiotiche e alienanti il rapporto paterno.
Questo fa sì che nei tribunali vi siano prassi consolidate di accuse di alienazione parentale, la cosiddetta PAS, nei casi in cui i bambini facciano fatica ad allontanarsi dalla propria madre per frequentare il padre. Tutto questo ovviamente senza tener conto delle tappe di sviluppo dei bambini, per cui sappiamo che anche laddove vi sia un padre sufficientemente presente nella vita dei propri figli, il bisogno dei bambini, soprattutto fino a una certa età, è normalmente quello di avere una continuità costante di relazione con la propria madre all’interno del proprio contesto di vita conosciuto.
La più grande paura…
La più grande paura per una madre è proprio quella di perdere i propri figli e per un bambino ed una bambina è quella di perdere la propria madre. È su questa paura e su questo ricatto che di fatto si giocano gli accordi di separazione, ripristinando quindi la patria potestà e impedendo alle donne di potersi affrancare dai propri ex, soprattutto da quelli violenti.
Il supremo interesse dei minori come viene rispettato in Italia? Che violazioni ci sono?
Supremo interesse dei minori è la risposta al bisogno di essere amati, curati e protetti. È necessario rispettare, come dicevamo, il bisogno di continuità nelle relazioni, di sicurezza dei propri affetti, di stabilità nelle abitudini. Quando un bambino non viene rispettato nei propri bisogni si distrugge la sua fiducia e si contribuisce ad allontanarlo dalla possibilità di costruire serenamente il proprio sé, arrivando a metterne a rischio la salute psicofisica. Inoltre spesso i bambini non vengono ascoltati nei tribunali nonostante la legge lo indichi.
Cosa avviene in fase di separazione? Cosa succede se si denuncia violenza domestica?
In fase di separazione consensuale sappiamo che spesso le donne accettano accordi che non ritengono giusti, perdendo potere economico e accettando di non vedere i propri figli anche per lunghi periodi, come quelli delle vacanze, pur di evitare il rischio di una separazione giudiziale.
Le condizioni materiali e psicologiche di vita delle madri si aggravano nella gestione quotidiana dei figli, ritrovandosi spesso in una forte pressione o a subire prevaricazioni e omissioni di atti dovuti, come le firme per i documenti, autorizzazioni scolastiche o mediche.
In caso di separazione giudiziale la situazione diventa ancora più complicata, soprattutto in caso di denuncia di violenza domestica. Le madri e i figli sono costretti a dimostrare la violenza e ha inizio un’operazione di medicalizzazione, attraverso percorsi di indagine psicologica cui vengono costretti i bambini e di mediazione a cui sono costrette le madri. La prassi è che i giudici nominino un c.t.u., consulente tecnico d’ufficio, a cui delegare la soluzione di questi casi, autorizzando di fatto dei trattamenti sanitari obbligatori che possono durare molti anni e possono essere molto costosi.
Questo dimostra che l’impianto legislativo nel nostro paese, non riconoscendo la specificità del legame materno, rende la possibilità di interrompere una relazione tramite la separazione e il divorzio un vero e proprio calvario.
Perché parlare di caregiver può essere limitante e parziale?
Semplicemente perché caregiver è qualunque figura che si occupi della cura di un bambino piccolo, una figura sociale. Io stessa posso essere considerata una caregiver, dal momento che mi occupo di bambini nell’ambito della scuola. Posso utilizzare un modello materno di relazione, ma solo per i miei figli sono la madre.
La madre non è una qualsiasi figura che si occupa della cura del bambino e della bambina, la madre è quella donna che è nata come madre insieme al proprio bambino e alla propria bambina, sono stati due in uno, si sono scambiati informazioni, emozioni, sensazioni già dallo stadio embrionale. Il dialogo tra madre e bambino/a inizia dunque già in modo inconscio e getta le basi per lo sviluppo psicologico.
Certamente laddove questo legame, tragicamente, venga ad interrompersi chi subentra a prendersi cura del bambino o della bambina farà riferimento proprio a quel modello che riconosciamo come “legame materno “.
Quale modello sociale e culturale dovrebbe essere preferibile?
Una società civile che metta al centro la relazione primaria di amore come paradigma, un modello culturale che spinga tutti a preservare la nascita e la relazione materna e che possa quindi creare un cambiamento profondo, ponendo le basi per una società della cura e realmente pacificata.