Ambrogio è Ambrogio, Sant’Ambrogio. Padre della Chiesa e patrono di Milano. Ma sarebbe stato Ambrogio senza di lei?
Forse sì, ma in modo diverso. Marcellina, per esteso santa Marcellina di cui si fa memoria il 17 luglio, fu sorella, madre, confidente. E autorevole interlocutrice: il santo si rivolge direttamente a lei nel suo trattato «Sulle vergini», ne difende l’autorevolezza, la chiama maestra di fede. Fu lei, di alcuni anni più grande del futuro vescovo di
Milano, a insegnargli i fondamenti di quel cristianesimo che il fratello conosceva ben poco (ebbe a dire, ricordando l’elezione all’episcopato: ho dovuto imparare dai miei fedeli). Marcellina è una santa estiva, ma – rammenta il fratello – prende il velo il giorno di Natale, da papa Liberio.
Non suora bensì laica consacrata, dedita alla preghiera e a procacciarsi il cibo «con le proprie mani, in modo da poter distribuire il superfluo ai poveri». La famiglia di Ambrogio ha segnato quella che sarebbe stata la spiritualità milanese: preghiera e lavoro, o lavoro come preghiera. Un «ora et labora» cittadino, misticismo sociale. In ricordo del suo ruolo di educatrice presso i fratelli (non solo Ambrogio ma Satiro, santo pure lui), e la sua attività fra le donne, a Marcellina è stato dedicato l’Istituto delle Suore Marcelline; Milano le ha intestato una parrocchia in viale Espinasse e una via in zona Nord, taglio grigio che confluisce nel vialone Fulvio Testi e prosegue fino a viale Suzzani, però con un nome diverso.
Diviene infatti via Santa Monica, altra strada anonima, anzi, diruta per la presenza d’una vecchia bocciofila e l’ex deposito dei monopòli di Stato, roso dall’abbandono e dai topi (la Bibbia parlerebbe di «lebbra delle case»). Anche Monica fu maestra, maestra di pazienza, perché il figlio le toglieva letteralmente il sonno: era giovane, bello, colto, altezzoso e dissoluto. Si chiamava Aurelio
Agostino e del cristianesimo non gl’importava nulla, o peggio lo disprezzava, perché a suo dire gli tarpava la vita, cioè la fame di troppo che però non lo saziava. E sì che Monica – testimonierà più tardi, pentito e umiliato – gli aveva fatto «bere il nome di Gesù assieme al suo latte», ma lui, niente: aveva altre mire, altri traguardi (e altre donne). Quando poi dall’Africa raggiunse Milano, Monica gli era al fianco, indomita; lo fu quando il figlio ascoltò le prediche di Ambrogio, convertendosi; quando ricevette il battesimo, al punto che Agostino le disse: «Mi hai generato due volte»: alla vita e alla fede. I loro colloqui, trascritti fedelmente da Agostino stesso, rappresentano tuttora «una guida per tanti cercatori di Dio» (L. Montanaro).
Oggi Monica, la madre africana, e Marcellina, la sorella gallo-romana, unite da quel coacervo di razze e culture che è Milano, si ritrovano in una periferia priva di tutto tranne del loro nome, sconosciuto ai più, come quello di tante, troppe donne.
Vogliamo quindi rendere un piccolo omaggio a una, anzi a due di loro. Una santa non è mai una donna scarnificata, e sa profondere sapienza malgrado i silenzi imposti, malgrado il Verbo tramandato al maschile.
2 commenti
“Milano le ha intestato una parrocchia in viale Espinasse e una via in zona Nord, taglio grigio che confluisce nel vialone Fulvio Testi e prosegue fino a viale Suzzani, però con un nome diverso.
Diviene infatti via Santa Monica” Cit.
Orbene, io abitavo da quelle parti. Lì vicino, c’era una scuola media che, nella seconda metà degli anni Settanta, fu frequentata una mia compagna di scuola delle elementari, Adeliana. A quell’altezza, tra viale Fulvio Testi e Viale Sarca si estendeva la Società Sportiva PIRELLI che mi vide protagonista delle sue gare di atletica… Grazie a chi ha redatto questo pezzo. Finalmente conosco qualcosa del mio passato!
Felice di esserti stata d’aiuto.