“Quando attraversano lo spazio pubblico, soprattutto al buio, le donne vivono in condizione di paura maggiore rispetto agli uomini, come molte ricerche hanno ampiamente dimostrato negli ultimi trent’anni (Franck & Paxson 1989, Gordon & Riger 1989; Valentine 1989; Pain 1991; Stanko 1995; Madriz 1997; Hollander 2001; Viswanath & Mehrotra 2007; Dymén & Ceccato 2012; Sweet & Ortiz Escalante 2012). Ciò succede nonostante siano meno vittime di reati degli uomini, i quali invece non manifestano particolare disagio nell’esperienza della città la sera e la notte.” Secondo il Censis 2022 le città italiane sono sempre più sicure da trent’anni a questa parte. Ma allora da dove deriva la paura delle donne ad uscire dallo spazio domestico?
“Si tratta di un fenomeno razionale che deriva non solo dal background personale delle donne, ma anche da ciò che le donne come gruppo hanno assorbito dalla storia, dalla religione, dalla cultura, dalle istituzioni sociali e dalle interazioni quotidiane. Appresa precocemente nella vita, la paura femminile è continuamente rafforzata da entità come la scuola, la chiesa, la legge e la stampa. Molto viene appreso anche da genitori, fratelli, insegnanti e amici (Gordon & Riger 1989)”
“La paura che possa accadere loro qualcosa di brutto insegna alle donne, fin dalla più tenera età, qual è il loro posto, che tipo di vestiti le donne devono indossare e in che tipo di attività devono o non devono essere impegnate. Se queste regole di comportamento chiare e di genere non vengono seguite rigorosamente, le donne vengono incolpate della loro stessa vittimizzazione, perché si suppone che le brave donne sappiano come comportarsi” (Madriz 1997). Secondo la ricercatrice catalana Sara Ortiz Escalante i corpi delle donne sono “socialmente definiti e controllati”. Questo implica tutta una serie di scelte obbligate sia nel tempo libero che nel lavoro.
“La paura dello spazio pubblico rappresenta un intricato labirinto di esperienze e percezioni legate al genere, alla cultura e alla progettazione urbana. Mentre le donne continuano a navigare tra le sfide di una società che spesso le emargina e le oggettifica, è essenziale riconoscere che la paura è un riflesso delle dinamiche sociali e ambientali. Per creare città più sicure, bisogna affrontare questi paradossi, sfidare le narrazioni culturali limitanti e lavorare insieme per progettare spazi pubblici che riflettano la diversità e promuovano la partecipazione di tutte le persone. Solo attraverso questa consapevolezza e l’impegno collettivo è possibile costruire città in cui la paura si trasformi in libertà e sicurezza per tutte e tutti.”
Parto da me, che sono una donna che negli anni ha cercato di non farsi bloccare da questa paura, mi sono detta che potevo tornare a piedi da sola a qualsiasi ora, ma devo ammettere che mi sono sempre portata dietro quella paura sino sulla soglia di casa. Ma devo parlare solo per me stessa, perché per mia figlia non sono così tranquilla, forse perché su di me so assumere i rischi di violare determinati consigli sociali, mentre per lei mi sento responsabile di una eventuale superficialità di scelta.
Il testo Libere, non coraggiose di Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro ci aiuta a ragionare su questi temi e a superare la paura, a progettare città più sicure. Di “fronte alla paura, lo spazio pubblico viene percepito come minaccioso, il che può portare a situazioni estreme di abbandono dello spazio pubblico con il conseguente impoverimento individuale e sociale. Si perde così il senso dello spazio pubblico come spazio di interazione sociale, il luogo in cui si costruisce il senso di appartenenza collettiva, l’esercizio stesso del diritto di cittadinanza. Solo conquistando le strade, le piazze ed essendo questi spazi destinati alla diversità, guadagneremo in sicurezza” (Ana Falù 2012).
Il senso di appartenenza a un territorio e la cura collettiva forniscono una base importante alla creazione di comunità di mutuo supporto, ma è necessario anche mettere al centro ciò che riguarda la libertà delle donne dal pericolo di essere aggredite sessualmente (anche se sappiamo che la maggior parte delle violenze avviene in ambiente domestico) “Una buona illuminazione, buoni trasporti , un’adeguata assistenza all’infanzia, un’istruzione decente, case sicure e relazioni sicure: uno senza gli altri è inadeguato a rispondere ai bisogni delle donne e, di conseguenza, alla loro paura del crimine” (Stanko 1995). Pensiamo a quanto limitante sia anche a livello di scelte lavorative.
“Sebbene non sia possibile risolvere la paura mediante la legislazione e la pianificazione, è in ogni caso etico e sensato impegnarsi e ascoltare le persone che esprimono paura nei confronti della violenza nello spazio pubblico, poiché queste percezioni hanno effetti reali sulla vita e sul benessere delle persone” (Carolyn Whitzman 2008).
E a Milano tra dati e percezione come ce la caviamo? Secondo i dati forniti da Lab24 de Il Sole24ore Milano risulta effettivamente la provincia nella quale sono stati denunciati più reati nel 2021 (quasi 6.000 ogni 100.000 abitanti) ma è un dato in costante calo da diversi anni. Ma la paura è in costante crescita. Il testo esamina questa situazione. Milano offre un interessante spaccato “delle sfide legate alla percezione della sicurezza urbana, con dati statistici in contrapposizione alle emozioni soggettive. Questa discrepanza sottolinea la complessità di affrontare la questione della sicurezza urbana e suggerisce la richiesta di strategie più ampie ed equilibrate per migliorare la qualità della vita in una città in continua evoluzione.”
Qui un interessante progetto su cosa si sta facendo a Milano per la percezione di insicurezza. L’osservazione della vita quotidiana rimane uno degli strumenti cardine della pianificazione della città da una prospettiva di genere: un’osservazione capace di mettere a fuoco anche il tema delle aggressioni, delle molestie, del catcalling e di come tutti questi atteggiamenti agiscano nell’esperienza della città per le vittime. La partecipazione attiva alla pianificazione e dell’amministrazione della città aiuta a diminuire i livelli di ansia e fanno sentire le donne il controllo del loro ambiente. (Dymen e Ceccato 2012)
Si sta cercando di replicare anche a Milano La Mapa de la ciudad prohibida para las mujeres dei Paesi Baschi “uno strumento di partecipazione e di dibattito sulla sensazione di (in)sicurezza negli spazi pubblici, non ché un modo per conferire potere alle donne e un canale di comunicazione tra cittadine e l’amministrazione. In questi progetti, attraverso laboratori partecipativi, si discute e si riflette sulla sicurezza e sulla percezione di insicurezza in uno specifico comune o area. Dall’esperienza dei partecipanti nell’uso dello spazio pubblico, vengono identificati gli spazi conflittuali, i punti neri, i luoghi che le donne cercano di evitare, soprattutto quando sono sole ed è notte”.
Interessante anche la parte che analizza il design della luce e la percezione di maggior sicurezza negli spazi pubblici (pag. 87). Così come l’esempio della città di Umea che si è impegnata molto secondo il gender mainstreaming (pag. 107).
Le Donne di Baggio, per esempio, è un gruppo costituitosi proprio a partire da queste tematiche e per poterle affrontare insieme dal basso tra donne. Ancora oggi siamo alla ricerca di uno spazio pubblico safe in cui riunirci. Sarebbe un piccolo ma significativo passo per tutte noi riuscire a trovare un luogo adatto!
“Bisogna uscire e camminare. Camminando, ci si accorge che molti dei presupposti da cui dipendono i progetti sono visibilmente sbagliati… Se si esce e si cammina, si vedono tutta una serie di altri elementi”. Jane Jacobs 1958
1 commento
Mia figlia va a in giro da sola anche di notte. Sono io che paura per lei.