Le Veneri vaganti :con questo bel nome evocativo dell’amore, venivano definite le “prostitute
irregolari”, cioè quelle che esercitavano liberamente fuori dalle case di tolleranza.
Quest’ultime furono istituite il 15 febbraio del 1860 con il decreto Cavour. Seguirono modifiche e
regolamenti dettagliati modificati o inseriti fino ad arrivare a luglio 1888 quando fu emanato il
“Regolamento Crispi”.
Nel 1931 la normativa che regolava la materia fu inserita in un Testo Unico e con diciotto articoli
venne dettagliatamente regolata la prostituzione. Si specificava che l’esercizio era consentito solo in
appositi locali ubicati però lontano dai luoghi di culto, dalle scuole o dalle caserme, per evitare
scandalo.
L’attività doveva essere denunciata all’autorità di Pubblica Sicurezza e ad essa
“sottomessa”. Le prostitute venivano schedate e sottoposte periodicamente a controlli sanitari.
Regolati anche gli orari: dalle nove alle tredici, dalle quindici e trenta a mezzanotte.
In quelle” case”, le prostitute conducevano una vita da recluse, con il divieto di “affacciarsi dalle
finestre o sostare sull’uscio di entrata”.
Già precedentemente, per gli effetti del decreto Cavour, raramente potevano uscire e avevano l’obbligo di indossare abiti morigerati ed essere sobrie sia negli atteggiamenti che nell’uso di alcool. In ogni caso non potevano passeggiare per vie e piazze principali, né recarsi a teatro. Finalmente con la legge n. 75 del 20 febbraio 1958 le case di tolleranza vennero soppresse. La legge fu fortemente voluta dalla senatrice Angelina Merlin che,
purtroppo, è rimasta alla storia solo per questa sua civile battaglia e non perché fu una donna tra le
più rivoluzionarie d’Italia. L’iter parlamentare durò ben dieci anni a causa dell’opposizione della maggior parte dei parlamentari, ovviamente “onorevoli uomini”.
Così scriveva Angelina Merlin :”Quando si attraversa il centro di Roma si è colpiti da file di soldati
e marinai alleati che sostano lungo le strette vie su cui si aprono le case di tolleranza…il commercio
della carne umana è avvilente…commercio regolamentato dallo Stato, che ne incamera una parte
dei benefici…il mercato delle donne appare insopportabile e non per puritanesimo.
Migliaia di donne vivono prostituendosi, non escluse quelle delle classi alte, che la guerra e l’occupazione
hanno impoverito, ma le più degne di pietà sembrano le tesserate, prese in una rete di visite
mediche, di sorprese della polizia, di soprusi…sfruttamento…che restano bollate, schedate come
detenute, anche se interrompono il mestiere. Per le venditrici libere si tratta di una scelta…ma per le
altre è come un lavoro forzato. Come possono le autorità rilasciare una tessera che definisce
ufficialmente una donna prostituta?…che genere di figli avete allevato se non sanno avere una
donna se non servita su un piatto come un fagiano?
Nel 1958 l’Italia e la Spagna risultavano le uniche nazioni europee le cui case di tolleranza erano
sotto il controllo statale.
Si chiusero così 717 case ufficiali di tolleranza sparse per tutto il territorio nazionale, in cui si
prostituivano circa quattromila donne con il rammarico, testimoniato da scritti e racconti, di
centinaia di uomini illustri. Tra gli scrittori Ennio Flaiano, Dino Buzzati, Mario Soldati, Mario Praz
e poi politici, artisti, graduati, militari, professionisti, studenti, artigiani ed operai. Tanti piccoli
Peter Pan che nonostante le apparenze non riuscivano a considerare una donna come una persona
loro pari e non come un giocattolo con cui trastullarsi.
Anche Indro Montanelli si espresse su quelle chiusure con questa frase:” Tette e bandiere sono il
riassunto della storia d’Italia. I suoi inseparabili pilastri, il motore per comprenderle”. Del resto,
Montanelli, non aveva mai fatto mistero di essere un habitué di quei luoghi e che ne preferiva uno
in particolare: quello a Firenze di Madame Saffo.
In alcune città, come a Bologna, gli ormai ex clienti, andarono in processione con in mano ceri
funebri e corone d’alloro: gli scapoli sfilavano a volto scoperto e gli sposati incappucciati.
Ma chi erano in realtà quelle prostitute nei cento anni che vanno dal 1860 al 1958?
Erano soprattutto figlie di N.N. non riconosciute e spesso figlie di chi già esercitava quel mestiere.
Erano giovanissime, povere senza alcun mezzo di sussistenza, senza beni materiali, senza istruzione
e senza altre competenze per svolgere un mestiere. Spesso erano state abusate anche all’interno del
loro nucleo familiare.
Molte avevano prestato servizio in famiglie benestanti ma avevano subito esperienze terribili:
molestate, violentate dagli “uomini di casa” ben presto venivano allontanate dalle stesse famiglie
per evitare scandali e pettegolezzi. Così, avendo perso la verginità, unico bene prezioso a quei tempi
per una donna, non potevano più sposarsi ed erano obbligate a prostituirsi per non morire di fame.
Non avevano altra scelta.
Spesso disperate avevano una sola via di fuga: il suicidio.
Erano paragonate, dai benpensanti, a delle serpi che avvelenavano il genere umano, donne dal cuore
perfido che sfruttavano la loro bellezza. Erano anche definite vampire che succhiavano il denaro
sottraendolo alle famiglie legittime.
Nel 2010, furono rinvenuti, a Casarsa in provincia di Udine, nell’intercapedine di un edificio che
stava per essere demolito, centinaia di documenti, foto, lettere e diari appartenenti alle vecchie
inquiline del secolo scorso.
Tra il 1922 ed il 1942 in quel luogo era ubicata una casa di tolleranza.
Quel ritrovamento si è rivelato una fonte di informazione preziosa. Così si è appreso che le donne
iscritte al partito fascista che volevano esercitare avevano la precedenza. Nel 1938 la tessera
divenne obbligatoria. Ogni venerdì il bordello era chiuso al pubblico e vi si recava un prete per
confessare e per somministrare la comunione. Le ragazze che non partecipavano venivano
ammonite verbalmente e segnalate alla tenutaria.
Questa regola di “brava cristiana per un giorno” evidenzia l’immane ipocrisia delle istituzioni sia statali che religiose. Del resto, giova ricordare che già nel 1500 a Roma, Papa Alessandro di casa Borgia, grande esperto in materia, le classificava in “puttane da lume o da candela e cortigiane oneste”. Quest’ultime avevano un buon livello culturale, all’occorrenza sapevano anche recitare poesie e si accompagnavano a uomini di alto rango.
Ritornando agli anni del regime fascista, la giornalista Lidia Baratta così scrive:” …le case di
tolleranza erano luoghi in cui tanti andavano a recuperare le medicine o i disinfettanti forniti dal
regime…le prostitute non potevano lasciare le strutture perché erano considerate donne che
attentavano alla debolezza dell’uomo italiano…solo alcune di loro uscivano rischiando le
manganellate per andare ad esercitare a domicilio per gli invalidi di guerra o disabili… Alcune
risultavano vedove anche se non lo erano…gli organi di partito avevano fatto si che un marito non
più reperibile venisse dichiarato morto dopo cinque anni…così le mogli potevano esercitare la
prostituzione…perché le sposate non potevano farlo. I figli venivano affidati agli istituti pubblici e
una parte della retta era pagata dal Comune…”
Un sistema di welfare ineccepibile per salvare l’onore formale di Dio, Patria e Famiglia.
Delle prostitute e dei postriboli anche nei secoli precedenti il Novecento, sono rimaste tracce nella
toponomastica e nell’odonomastica delle città e dei paesi italiani.
Una via delle Belle Donne la troviamo a Pisa, Firenze e Grosseto.
A Milano esistono una via Fiori Oscuri e una via Fiori Chiari: secondo alcune tesi abbastanza
accreditate nella prima era ubicata una casa di malaffare, nella seconda un collegio per innocenti
fanciulle.
A Venezia troviamo il Ponte delle Tette e Rio terà delle Carampane.
In quest’ultimo sorgeva un ospizio per prostitute vecchie e indigenti in una casa (ca’) di proprietà di
un signore che si chiamava Rampani.
La denominazione del ponte deriva dal fatto che nelle vicinanze c’erano diversi bordelli e le
prostitute si affacciavano alle finestre esponendo i seni.
A Palermo la piazzetta della Messinese, nel cuore del centro storico è proprio intitolata alla
prostituta Maria detta la messinese definita la più illustre tenutaria dei bordelli del Quattrocento. A
quei tempi in quel luogo c’era un caravanserraglio che ospitava soprattutto i commercianti che
viaggiavano con il carico delle loro merci e dei loro schiavi. Maria pensò di assumere alcune
giovanissime ragazze che facevano le serve in altri luoghi e che erano disposte a compiacere le carovane che si fermavano. La sua idea si rivelò vincente e il caravanserraglio divenne un luogo di piacere anche per tanti palermitani.
Del resto anche l’odonomastica riflette la secolare classificazione delle donne in sante e puttane.