Si parla spesso di femminicidi: ormai, quasi ogni giorno, in Italia, una donna muore per mano di un uomo. Ne parliamo con Federica Ferretti , scrittrice e giornalista che è la creatrice della sua azione #stopfemminicidio
Perché, secondo te continua ad esistere ed anzi è in aumento questo fenomeno?
Si tratta di un fenomeno, questo, che in realtà, prima, diversi decenni fa, aveva un nome difficile, uxoricidio, ma la stessa sostanza. Un uomo uccide la propria moglie, e ciò coincide con una aggravante dell’assassinio. Con molta umiltà, ci tengo a ribadirlo, mi sono a volte fermata a riflettere, insieme a delle amiche giuriste, se aggiungere l’ulteriore fattispecie giuridica, il “femminicidio”, puntando appunto a sottolineare l’impatto del genere femminile letteralmente ammazzato da un uomo, non abbia solo enfatizzato la rilevanza sociale del gesto, donando un ulteriore potere simbolico alla “mascolinità”. Se si scava più a fondo, però, il delitto d’onore e il matrimonio riparatore sono stati aboliti, in Italia, abbastanza di recente, a malapena nel 1981. Lascio la riflessione aperta alle lettrici/lettori.
È un terreno evidentemente minato, specie a livello di percezione sociologica, in cui è davvero difficile addentrarsi, senza rischiare di offendere, o quantomeno ledere, la dignità di chi si trova a subire, famiglia ed amici compresi. Non credo ci sia un perché, se non nella riemersione di un istinto atavico, di una sorta di assurda pretesa di predominanza maschile sulla donna. La quale, nei secoli, riesce a sfuggire a qualsiasi ingabbiamento-ghettizzazione, grazie alla maggiore consapevolezza del suo ruolo e del suo contributo in casa come in azienda, tanto in termini economico-finanziari che di intelligenza. Vero è che l’elenco degli esempi di donne inventrici il cui nome è stato taciuto/sostituito, è abbastanza lungo nella storia. Ma davvero una donna emancipata spaventa al punto da dover essere privata della vita? Gli ultimi casi di cronaca, che, per rispetto tanto dei famigliari, che delle vittime stesse, non voglio menzionare, sembrerebbero confermare questa specie di trend in crescita. Ed è infinitamente preoccupante.
Cosa pensi che sia necessario fare? Un’azione culturale. oppure è troppo tardi, perché questo deve arrivare dalla parte delle mamme o dei genitori che devono insegnare che “non uccidi una donna se ti dice no…”?
Mi interrogo ogni singolo istante, credimi, su cosa abbia potuto ri-scatenare una simile apocalisse, ri-innescare processi che dire tribali è dire poco, di compra-vendita di donne, che diventano oggetti del desiderio nelle mani dei loro compagni-fidanzati-mariti, i quali, una volta insoddisfatti, arrivano a macellare le- consentimi in virgolettato -“ loro femmine”.
Perché di questo, a mio dire, si tratta: le risposte risultano ancora più retoriche, dare la colpa ai social, come alla televisione, ai modelli di vita – peraltro assurda- che ci propinano quotidianamente, non risolve. Sono una donna di cultura, giornalista e musicista-docente. Perciò, proverei ad esaminare la questione anche sotto ulteriori, diverse, lenti di ingrandimento. La famiglia, di certo, è un’agenzia educativa fondamentale, che dovrebbe, se non altro, non contraddire e/o interferire circa gli elementi di educazione civica proposti dalla scuola. Tuttavia, propongo di interrogarci pure su cosa possiamo fare noi giornalisti, letterati, artisti a vario titolo, per ribaltare la situazione. O provare ad invertire la rotta. E la risposta, non può che essere univoca: serve ri-educare le masse, uomini e donne, a partire dalla più tenera età, perché qualcosa, un giorno, possa cambiare in meglio, stavolta.
Oppure ancora bisogna educare gli uomini a rispettare le donne.
Cara Caterina, su questo punto, siamo perfettamente d’accordo. È ciò che cercavo disperatamente di dire poc’anzi. Mi guardo attorno, e tanto nella proposta ludica, ( giocattoli e libri), quanto in una maggiore attenzione dei media, ( pubblicità soprattutto), si tenta già da qualche anno, di influire sulla tendenza. Come ripeto, io stessa, da insegnante di Musica nella Scuola Secondaria di Primo Grado, cerco di aiutare i ragazzi, grazie alle potenzialità proprie di questo versatilissimo linguaggio, di cercare le differenze tra contenuti pubblicitari di qualche decennio fa e quelli odierni, e devo dire che le mie classi mi danno sempre molta soddisfazione nella giusta sottolineatura della parità di genere. Solo una goccia nel mare, forse, ma vale la pena di immetterla.
Ci parleresti del tuo #stopfemminicidio?
Grazie di avermi dato l’opportunità di tornare a parlare di questa mia azione, uno #stopfemminicidio a dire il vero infinito, come commentano con orgoglio alcuni miei conoscenti, partito cioè dalle pagine, seppure virtuali di un corriere abruzzese, con campagne che a mano a mano hanno preso corpo e parole sull’onda dell’entusiasmo di tante/i colleghe/i che hanno creduto nella forza di questo mio incessante impegno.
Dalle amiche della luna , su un vecchio blog di Donna Moderna, tra cui ho potuto annoverare da Susanna Barbaglia, allora Direttrice di Confidenze( Mondadori), alla chef Daiana Cecconi o alla Makeup Artist Dorina Forti, per non parlare della compianta Alessandra Appiano, forse la prima a credere in me e a sostenermi. E poi, la giornalista Ester Palma de Il Corriere della Sera, che mi aveva riservato uno spazio quindicinale sul suo blog Nel cuore di Roma, per raccontare le storie delle mie “eroine”.
Tuttavia, ad un certo punto, ho dedicato il mio stesso sito, www.federicaferretti.com, ovvero la sezione News, alla raccolta di voci di Donne con la D maiuscola, che ci insegnano come ogni giorno, ci dobbiamo amare. Ecco come ha preso vita lo #stopfemminicidio più famoso, che ha visto coinvolti nomi del calibro di Dacia Maraini, Simona Branchetti, Angela Caponnetto, Pina Debbi e Flavia Fratello, solo per accennarne qualcuno. Uno #stopfemminicidio che si è poi diramato in #maipiùnemiche, per enfatizzare l’importanza della solidarietà al femminile, o ancora, con più forza, #nobodyshaming, perché noi donne, siamo infinitamente fragili e quindi, basta ad essere bersagliate su più livelli. D’altronde come dice una canzone
“Siamo così, dolcemente complicate,
sempre più emozionate, delicate,
ma potrai trovarci ancora qui”.
Ma affinché ci troviate ancora qui, c’è bisogno di combattere, pure sul piano delle parole, di come si ricostruiscono i fatti di cronaca cui accennavamo prima, dove la vittima non può assolutamente diventare carnefice. A tal punto, sempre nell’ambito del mio impegno a riguardo, ho tenuto un corso di scrittura circa i pezzi di violenza di genere, durante un prestigioso festival di giornalismo, tenutosi a Bologna l’ottobre 2017. Ribadisco che, magari, è solo una goccia nel mare. Ma vale la pena lottare ancora, fino all’ultimo, perché lo raggiunga. E sfoci, finalmente felice, in esso.