Simona Regondi appassionata di politica, ci racconta in queste pagine cos’è il servizio di assistenza sociale sul quale continua ad esserci una continua denigrazione, delle difficoltà del ruolo, femminile al 96 %, delle aggressioni, della differenza tra il processo mediatico e quello giuridico, spesso opposti. E del danno che si crea sottraendo fiducia ad una professione di aiuto, danno arrecato alla cittadinanza più vulnerabili perché perde fiducia e quindi possibilità di aiuto.
Mi chiamo Simona Regondi, ho (quasi) 54 anni, mi appassiona la politica, amo fare mototurismo, passione condivisa con mio marito e i miei due figli (ognuno con una propria moto, ma solo io guido una ducati), mi diletto di fotografia, considero i gatti esseri superiori e sono, da più di trent’anni, un’assistente sociale comunale.
Nella mia carriera ho cambiato tre comuni ed attualmente, da 18 anni, lavoro in un comune di media grandezza al confine nord di Milano.
L’interesse per la politica e la mia scelta professionale mi hanno portato a seguire un modo particolare la “politica sociale” , ad informarmi e con il tempo a fare delle valutazioni su ipotesi di implementazione.
Nel 2021 mi sono candidata come consigliera all’ordine Regionale degli assistenti sociali della Lombardia, sono stata eletta e, viste alcune mie posizioni note alla comunità professionale, sono stata proposta e votata per l’ufficio di presidenza con il ruolo di Segretaria.
Il primo cambiamento che ho apportato è stato quello di modificare la firma da “il segretario” a “la segreteria” (per motivi a me sconosciuti, malgrado questo ruolo sia sempre stato occupato da donne, la firma è sempre stata al maschile).
Da più di tre anni ho quindi un osservatorio privilegiato sulle fatiche della professione, professione che è al 96% femminile, e l’esposizione al rischio di aggressione, verbale e fisico, è uno dei problemi più ricorrenti.
Da poco più di 5 anni il clima intorno ai servizi sociali è drasticamente peggiorato, i continui attacchi portati alla professione da figure di vario genere, perlopiù politici e giornalisti, hanno creato un clima da caccia alle streghe che giudica e condanna senza avere gli elementi minimi per una valutazione dei fatti.
Questo modo di agire, anche quando i tribunali veri, assolvono la dove il tribunale mediatico ha condannato, porta a due conseguenze: la prima è la perdita di fiducia in un ruolo, quello dell’assistente sociale, che ha il compito di aiuto, che si concretizza con il non richiedere il nostro intervento e non ricevere quindi assistenza
La seconda è che laddove il nostro lavoro è obbligatorio e attivato dalla magistratura, vedi la tutela dei minori, il servizio sociale rischia di diventare un servizio difensivo, a difesa però degli operatori che sono spesso vittima di minacce e a volte di episodi di violenza (nel solo mese di agosto 3 colleghi sono stati vittime di violenza, di cui uno accoltellato). Atteggiamento che rischia di perdere di vista il diritto di essere tutelato del minore.
Mi piacerebbe poter portare una riflessione su questi due aspetti, quanto il tribunale mediatico può produrre grossi danni e la consegna sulle fasce più vulnerabili della perdita, senza motivo, di fiducia nei servizi