Regia di Paolo Sorrentino
con Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Gary Oldman, Isabella Ferrari, Luisa Ranieri, Silvio Orlando, Peppe Lanzetta, Lorenzo Gleijes
Quattro stelle
Una maschera nera, simile a quelle che si usano per le gare di scherma, le copre interamente il viso, perché, spiega il maggiordomo, è devastata dalla chirurgia estetica. Nella scena successiva è invece una fitta veletta a nasconderne i lineamenti. In una terza inquadratura l’attrice, che interpreta un’insegnante di recitazione, è nuda, avvolta nei fumi del bagno turco e solo per pochi secondi vediamo la sua inconfondibile bocca che chiede, anzi esige, un bacio dalla ragazza che si è rivolta a lei per consigli sulla carriera. Ora, che un’attrice accetti di prendere parte a un film completamente velata e irriconoscibile non è un fatto usuale, ma se a chiamarti è un regista come Paolo Sorrentino, le cose cambiano.
Anche perché Isabella Ferrari ha già lavorato con lui. Per alcuni registi gli attori nutrono una sorta di venerazione e non battono ciglio di fronte a qualunque richiesta. O manipolazione. Secondo esempio, Luisa Ranieri, che interpreta un personaggio palesemente ispirato a Sofia Loren. La bellissima attrice (anche lei ha già lavorato con Sorrentino) porta una parrucca che le viene strappata svelando una capigliatura devastata dall’alopecia e dimentichiamo quanto sia affascinante. Il regista di La grande bellezza in questo assomigli a Fellini (suo regista di riferimento) che deformava i suoi attori come fossero di gommapiuma e risparmiava solo Mastroianni, suo riconosciuto alter ego.
Ho preso spunto da due interpretazioni di secondo piano per introdurre il grande affresco napoletano di Parthenope dove, ancora una volta, Paolo Sorrentino fa i conti con l’odio-amore per Napoli. E li fa schierando mille personaggi, la maggior parte sopra le righe, alcuni addirittura caricaturali e macchiettistici, di sicuro felliniani, per raccontare i molteplici volti di una città, da cui si può, e spesso lo si fa, anche fuggire ma dove alla fine si ritorna, calamitati dalla sua “grande bellezza”: la città sotto il Vesuvio la possiede come Roma e forse ancora di più, perché il cuore del regista è lì, nel golfo, fra Posillipo e l’orizzonte.
Il percorso scelto da Sorrentino è tortuoso e a volte confuso, sempre esagerato, spesso temerario, anche se il fil rouge di tutta la storia è limpido e segue la ragazza del titolo, Parthenope (quindi Napoli), la splendida esordiente Celeste Dalla Porta, filmata dalla nascita nel 1950 (nelle acque del mare, come Venere, davanti alla villa dei genitori) fino al 2023, anno del suo pensionamento dove ha il volto sempre giusto di Stefania Sandrelli che esprime gli struggenti rimpianti di una vita che non si può né ripercorrere né aggiustare.
Sorrentino gira magnificamente, le scene sono una più bella e fantasiosa dell’altra, ahimé appesantite a volte da un compiaciuto barocchismo e da un estetismo un po’ fine a se stesso che fa perdere di vista la compattezza della storia, che sembra stargli meno a cuore dell’estetica e delle frasi lapidarie che sembrano dette per essere annotate e ripetute al momento giusto. Quanto si piace Sorrentino e concediamogli l’immodestia come peccato veniale. Almeno ancora per un paio di film. Non di più però, perché il ripiegamento su se stessi a lungo andare fa danni.
Torniamo a Parthenope che nasce nella ricchezza, desiderata e amata: è bella come una dea ma anche straordinariamente intelligente e arguta, non si approfitta più di tanto della sua avvenenza, preferisce impegnarsi e studiare, è curiosa, affamata di vita ma non sa bene a cosa aspirare. Succede quando tutto arriva senza sforzi. Vive in un ambiente sospeso fra Napoli e Capri, un mondo che ha tanto in comune con quello raccontato da Raffaele La Capria in Ferito a morte, romanzo che di sicuro è fra i prediletti di Sorrentino. Un libro ambizioso, caldo, idolatrato dai napoletano colti che il bravo Andrea Renzi ha tentato qualche tempo fa di portare sul palcoscenico con risultati non sempre soddisfacenti. La questione è che il romanzo di La Capria ha il suo punto di forza nella scrittura, nella parola, nella musicalità delle frasi e, secondo me, ogni trasposizione non potrà mai restituire il fascino della pagina scritta.
Sia come sia, Parthenope la bella si lascia corteggiare, civetta, seduce, si ritrae e ha sempre la risposta più inaspettata da dare a ciascuno, persino quando a Capri si imbatte in John Cheever, il grande scrittore americano (interpretato benissimo da Gary Oldman) con cui forse avrebbe potuto vivere una grande storia d’amore. Peccato che lui preferisca i ragazzi alle ragazze.
Celeste Dalla Porta, figlia e nipote d’arte, il nonno era il fotografo Ugo Mulas, la mamma Melina Mulas, anche lei fotografa, il papà un jazzista, presta a Parthenope il suo sguardo cangiante e vivo e passa indenne attraverso tutte le situazioni, crollando solo quando l’amatissimo fratello che l’amava troppo e nel modo sbagliato, si lascia morire. Il film diventa più malinconico come gli occhioni di Parthenope che si rifugia nello studio trovando nel professore di antropologia (un perfetto Silvio Orlando) un secondo padre che preferisce le domande alla risposte e la aiuta a non fermarsi.
Tanti sono gli episodi che costellano l’Odissea di Parthenope, compreso un incontro blasfemo (Sorrentino ha conti da saldare anche col cattolicesimo) con un prete alle prese col sangue di San Gennaro e poi l’unione carnale e pubblica, in senso letterale, di due famiglia camorriste, infine l’incontro sconvolgente e quasi mitologico col figlio del professore.
Si vola, si cade, ci si stupisce, si ammira la bravura registica, fotogramma dopo fotogramma e un’eleganza in più, forse dovuta aall’ingresso nella produzione di Saint Laurent. Ma, vi chiederete, alla fine dei conti, a me il film è piaciuto? Sì, perché non so resistere alla bellezza delle immagini e perché alla temerarietà intelligente perdono molto, forse troppo. Se prendo le distanze però aggiungo che di sola bellezza non si può né vivere né fare cinema. Quanto meno un cinema che conti, che resti, che valga, che abbia senso e che possa incontrare un pubblico vasto. Forse Paolo Sorrentino dovrebbe pensare di più agli altri e meno (giusto un pochino meno, eh, non si pretende poi troppo) a se stesso. Sei bravo, lo sappiamo tutti noi che ti seguiamo fin dal primo film e lo sai molto bene pure tu. Ora puoi andare più avanti.
Foto di Gianni Fiorito
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