Regia di Maura Delpero
Con Tommaso Ragno, Giuseppe De Domenico, Roberta Rovelli
Orietta Notari, Carlotta Gamba, Santiago Fondevila Sancet
per la prima volta sullo schermo
Rachele Potrich, Anna Thaler, Patrick Gardner, Enrico Panizza, Luis Thaler, Simone Benedetti
e con
Sara Serraiocco
1944, ultimo anno di guerra, ma la gente ancora non lo sa. Per il momento patisce e anche in un piccolo paese come Vermiglio, sperduto sulle montagne della Val di Sole, in Trentino, si avvertono le conseguenze del grande conflitto. In un ambiente naturale aspro, filmato con un gusto da pittura fiamminga, Maura Delpero si addentra nella storia. I figli sono lontani e ogni lettera che ritarda è un colpo al cuore.
Qualcuno si salva, come il giovane tornato al villaggio grazie a un commilitone siciliano che lo ha portato sulle spalle e che è stato adottato dalla comunità, dove tutti sono imparentati. Alcuni storcono il naso, perché sottrarsi alla guerra è roba da disertori. A Vermiglio si vive da sempre di poco, ma anche quel poco ora manca, ci sono i campi e le bestie, bisogna accontentarsi, i figli sono tanti e crescono senza troppe parole e senza abbracci. A quei tempi, anche prima della guerra, non si usavano i discorsi ma i fatti.
C’è una sola classe che raccoglie alunni di tutte le età, il maestro è un ottocentesco, colto Tommaso Ragno che di suo ha una nidiata di figli e dietro l’austerità nasconde vizi da maschi, compresa una raccolta di foto sconce che tiene chiuse a chiave nel cassetto della scrivania. Al bar gli uomini giocano a carte, bevono, e fanno discorsi da uomini, in bilico fra pregiudizio e banalità.
Le vere protagonista del film di Maura Delpero sono però le donne e le bambine. La moglie sfinita dai parti, la figlia che si innamora del soldato siciliano e lo sposa, la bambina più piccola, la più intelligente, l’unica che il padre farà studiare mandandola a Trento e l’altra, che avrebbe tanto voluto ma ha solo la buona volontà e troppe ossessioni religiose. Finirà in convento?
I maschietti sono vivaci, ingenui ma furbi, e tutti, ragazzini e ragazzine, sanno come “si comprano i bambini”, ma sono cose di cui non si parla. Non si parla neppure del ciclo, ogni adolescente lo scoprirà da sé, come qualcosa di cui vergognarsi: con occhi bassi la madre infilerà nella gonna due straccetti raccomandando di “girarli quando saranno sporchi”.
Le ragazze hanno sguardi sognanti, una confidenza intrisa di luccicanza che diventa a seconda delle occasioni solidarietà, curiosità, affetto o anche solo l’accarezzarsi con una piuma.
Anche quando la guerra finisce la vita non migliora e i piccoli grandi problemi di ogni giorno riempiono l’esistenza e a volte sembrano insormontabili. L’unica ragazza libera è quella un po’ strana, che fuma, sta seduta scomposta e dice cose che non dovrebbe dire. Tutti sanno che finirà male.
Il peso della sopravvivenza grava su questa comunità chiusa che Maura Delpero racconta per il desiderio più che per il bisogno di guardare al suo passato, lei che, originaria di questi luoghi, vive fra l’Italia e Buenos Aires col marito, un attore argentino.
Un racconto etnologico? Una ricerca storica? Anche, ma quello che si apprezza di più in questo film che rappresenterà l’Italia agli Oscar e che ha vinto il Leone d’Argento a Venezia, è la capacità di raccontare il femminile.
Quello più intimo e arcaico, impresa in cui Maura Delpero si era già cimentata col suo primo lungometraggio, Maternal. L’occhio della regista è libero, indenne da trappole ideologiche o femministe, interessato a sondare l’aura misteriosa del femminile, riportando alla memoria film come Il giardino delle vergini suicide e Picnic a Hanging rock. L’essenza della femminilità, qui come nei film di Sofia Coppola e Peter Weir, resta sospesa, potente, magica.