un film di Mohamed Kordofani
con Eiman Yousif, Siran Riak, Nazar Goma, Ger Duany
Dal 24 ottobre nelle sale
Ci sono tanti paesi a cui prestiamo poca attenzione, ci sono troppe guerre dimenticate, sovrastate dalla tragicità di quelle che conquistano le prime pagine: che cosa sappiamo, ad esempio, del Sudan? Non molto, echi di scontri, un vago ricordo di qualche impegno preso anni fa da George Clooney per quella gente, forse il racconto di un amico che è stato volontario in una Ong.
Ma il cinema serve anche a questo, a raccontarci storie lontane, a farci entrare in mondi di cui ignoriamo quasi tutto.
Mohamed Kordofani, regista sudanese, riesce con questo bel film presentato a Cannes e in uscita il 24 in Italia, a raccontarci tanto del suo paese, senza alcuna retorica, affrontando una minuta vicenda individuale che diventa emblema della cultura di tutto il Sudan. Come fanno molti registi iraniani che girano film con lo stesso sguardo.
Siamo nel 2008, nel Nord Sudan, paese lacerato da un eterno conflitto fra nord e sud, fra la popolazione araba e quella africana, da una parte gli islamici dall’altra una comunità per la maggior parte cattolica. E chissà perché quelli che stanno più a sud sono sempre i discriminati.
Fin dalle prime immagini percepiamo il conflitto sociale, una manifestazione (quasi tutti neri) e un uomo, arabo, che chiude la sua casa a protezione della moglie, un appartamento interamente protetto da inferriate, sulle finestre, davanti alla porta d’ingresso e persino a circondare come una gabbia il balcone. Conosciamo la coppia sequenza dopo sequenza, non hanno figli, ma li cercano disperatamente. Tutto è molto tradizionale, lei sta in casa, lui dirige una fabbrica di legno. La donna è inquieta, spaventata, sottomessa al marito suo malgrado, moglie devota perché non ha altre possibilità.
Un giorno accade qualcosa che sconvolge la sua vita. Per una distrazione investe un bambino. Terrorizzata, invece di fermarsi, scappa, il padre la insegue in moto fin sotto casa. Il marito, vedendo “uno del sud” non esita a sparargli, uccidendolo. La donna non ha il coraggio di raccontare la verità ma cerca disperatamente il modo per rimediare. E espiare. Riuscendo, fra mille sotterfugi, tenendo solo per sé la verità, a accogliere in casa la vedova come domestica e anche il bambino, finendo quasi per adottarli. Un modo per pagare la sua colpa, che ha il terrore di confessare.
Il rapporto fra le due donne diventerà sempre più stretto, ciascuna cercherà a suo modo di salvarsi la vita, ma di quante rimozioni saranno ambedue ostaggio in quella società ferocemente patriarcale e così divisa fra Nord e Sud? Quali sono le radici del razzismo che portano quelli del nord a definire “schiavi” quelli del sud? La paura domina, impossibile aprire i cuori, impossibile squarciare il velo del moralismo e dell’ipocrisia. Su tutto spicca il tentativo disperato delle due donne di trovare uno spazio di sopravvivenza. Film doloroso e importante, gli occhi grandi delle due protagoniste e quelle catene imposte dalla società a tutti gli emarginati non si dimenticano facilmente.