drammaturgia Asilo Republic
regia Andrea Lucchetta
con Anna Bisciari, Marco Fanizzi e Vincenzo Grassi
luci Gianni Staropolimusiche Luca Nostro
fonico Luca Gaudenzi
scene e costumi Dario Gessati
video Carlo Fabiano
supervisione video Igor Renzetti
coproduzione Teatro dell’Elfo, Accademia Nazionale Silvio D’Amico
Al teatro dell’Elfo di Milano fino al 10 novembre, poi in tournée
Da cosa nasce il malessere giovanile? Cosa cercano i ragazzi? Quali sono i loro desideri? Che cosa i genitori non capiscono dei loro figli?
Quali sono le radici di una vergogna che sembra aleggiare in tante situazioni e che dà il titolo a uno spettacolo teatrale che intreccia la sociologia e l’indagine giornalistica con la messa in scena?
Il tema è netto: i giovani, in particolare gli studenti liceali e poi universitari. Il modo di raccontarli è composito e mescola la parola e la gestualità del teatro con i nuovi media. Infatti i tre giovani attori, tutti sotto i 30 anni, interagiscono fra di loro attraverso videocamere installate in computer fissati in vari punti del palcoscenico. I ragazzi si confrontano con la mediazione di un obiettivo, quasi mai direttamente e le immagini rimbalzano sul maxischermo alle loro spalle, protagonista a pieno titolo dello spettacolo. Ed è quello che succede anche nella vita reale dei ragazzi, dove il virtuale e l’immagine sono predominanti e plasmano la comunicazione materiale.
Gli attori si alternano nei ruoli di figli e genitori, di amici, fidanzati e fidanzate e si raccontano in frasi secche, reiterate e urlate, che diventano richieste di aiuto o confessioni per un disagio strisciante che, la cronaca lo testimonia, può avere conseguenze devastanti.
Quello che serpeggia in tutto il testo è il forte senso di frustrazione e inadeguatezza, il terrore di non farcela, la paura del giudizio degli altri. C’è un punto di incontro deflagrante fra il senso di impotenza e la spinta ad arrivare. A farsi notare, a diventare ricchi, a laurearsi, a raggiungere obiettivi ma è come se il percorso fosse puntellato di trappole, voragini che inghiottono anche le migliori intenzioni.
La società dell’apparenza induce alla costruzione di immagini falsate, addomesticate e spinge a mentire tutti, figli, madri padri. Tutti si raccontano per come vorrebbero essere e non per come sono davvero.
A completare lo spettacolo una serie di interviste a studenti universitari che aggiungono a Shame culture un senso ancora più forte di verità.
Uno spettacolo articolato, ricco, interessante nei contenuti e innovativo nelle soluzioni sceniche che rispecchiano perfettamente la vita di oggi.
Andateci, voi genitori, portateci i figli e confrontatevi con loro. Oggi si parla troppo poco e quando lo si fa è spesso in modo superficiale. Insegnanti, andateci coi vostri alunni e che bello sarebbe poi se in classe si iniziasse un dibattito sulla shame culture.