un film di Viggo Mortensen
con Viggo Mortensen e Vicky Krieps
Dal 24 ottobre nelle sale
Del cinema western c’è tutto: i paesaggi rocciosi, il villaggio con le casette basse, in legno, il saloon col bancone dove un barman di poche parole serve i liquori. Gli uomini non si tolgono mai il cappello e giocano a carte, quando non sparano. Il sindaco è corrotto, il proprietario terriero pensa solo ai suoi interessi, il prepotente di ottusa ferocia semina il terrore, i bambini sono costretti a crescere in fretta. E poi ci sono i cavalli, i fucili, uno sceriffo onesto e la guerra civile in lontananza col suo richiamo.
Però il secondo film da regista di Viggo Mortensen ha qualcosa che nella stragrande maggioranza del cinema western viene ignorato: una magnifica protagonista femminile, moderna, eppure immersa nella sua epoca, una donna volitiva, fiera, raccontata rifuggendo da forzate attualizzazioni. Niente femminismo d’accatto, solo una storia limpida servita da una scrittura (sempre Viggo) essenziale e potente. Insomma, applausi a scena aperta: che magnifico film!
Sono stati uccisi cinque uomini, il colpevole sembra essere l’ubriacone del paese, un giovanotto mite in perenne caccia di guai. Il sindaco con una masnada di compari va dallo sceriffo a denunciare il fatto. Capiamo subito che niente funziona, che la corruzione dilaga e che l’uomo finito col cappio al collo, dopo un affrettato processo, è innocente. Ma è la legge del West e contrastarla è complicato, anche per uno sceriffo perbene.
I tasselli della vicenda si compongono a poco a poco, in un avanti e indietro nel tempo con una costruzione narrativa che costringe (meno male che qualche volta ancora succede) lo spettatore a una piccola fatica per districarsi.
Veniamo così a conoscere la bellissima storia d’amore fra Olsen, immigrato di origine danese, e Vivienne, immigrata canadese francofona: i due si incontrano al porto di San Francisco e non si lasciano più, costruendo una relazione solida e romantica. Lui legge ed è un po’ poeta, lei sa un sacco di cose e soprattutto sa cosa vuole, lui costruisce un fienile, lei ama i fiori e trasforma la terra intorno al podere dove sono andati a vivere in un giardino.
Lei non si accontenta di stare in casa e si mette a lavorare al saloon, secondo l’uomo è inutile ma rispetta la sua indipendenza. Troppo bello per continuare, nel Far west nessuno riesce a vivere per sempre felice e contento.
Infuria la guerra civile, Olsen, uomo retto che crede nei valori americani, si arruola. Vivienne non è d’accordo, ma ancora una volta i due si rispettano. A questo punto il film spicca il volo, perché il regista non segue l’uomo che va al fronte ma si concentra su quello che accade alla donna che resta. E il vecchio West, lo si sa, non è gentile con le donne sole e anche le più forti, le più intelligenti, le più orgogliose, non riescono a salvarsi dall’arroganza e dai soprusi maschili.
Non voglio raccontare la trama, perché vale la pena scoprirla guardando il film, che riesce a trovare un equilibrio perfetto. I dialoghi sono asciutti e credibili, l’alchimia fra Viggo Mortensen e Vicky Kripes (la ricordate ne Il filo nascosto?) è tangibile, intrisa di una sensualità contemporanea che trova una sua dimensione anche nell’America di metà Ottocento. C’è spazio anche per qualche suggestione fiabesca, con antichi cavalieri e bambine che credono nei miracoli e, nonostante questi ingredienti inusuali, l’impianto tradizionale resta intatto, perché tutto si amalgama alla perfezione.
Ma il cuore vero della storia è una maternità subita e rivendicata, ribelle e amorevole incorniciata in un’analisi delicata di sentimenti contrastanti, al maschile e al femminile.
Viggo Mortensen dice di essersi ispirato alla madre scomparsa per il personaggio di Vivienne. Una madre che poco anzi nulla aveva a che fare col vecchio West ma a cui un figlio non poteva dedicare un omaggio più emozionante e affettuoso.