un film di Gints Zilbalodis
Dal 7 novembre nelle sale
Gints Zilbalodis è lettone e sa cosa sia la poesia. Perché solo da una sensibilità poetica poteva nascere la delicatezza di Flow che porta uno sguardo nuovo, moderno sull’animazione. Non è una fiaba e neppure un film realistico che pretende di spiegare tutto. Forse la definizione che meglio si addice è quella di sogno.
Ci troviamo in un mondo verde, un bosco foresta con suggestioni più orientali che occidentali. Non ci sono umani (si sono estinti?), non si ascoltano parole, ci sono solo un gatto e alcuni altri animali. La placida, pigra vita del micio viene ribaltata quando, all’improvviso, il giardino in cui sta è travolto da un diluvio. Ovvio che il pensiero vada alla Bibbia e a Noé, con la differenza che saranno gli animali a dover trovare il modo di salvarsi. Il gatto, lo si sa, è indipendente e poco incline a stringere alleanza e invece sarà costretto a condividere la barca della salvezza con un labrador generoso e non troppo intelligente, una capibara (una specie di nutria gigante) un po’ stolida, un lemure ossessivo compulsivo che colleziona oggetti e un goffo uccello gigante molto prepotente. La scombinata combriccola dovrà trovare il modo di andare d’accordo, perché, e questo è il cuore del film, nessuno si salva da solo.
Le avventure e ancor di più le disavventure si susseguono, l’acqua si alza fino a sommergere foreste e vette, statue magnifiche che ricordano Petra finiscono sott’acqua, ma il sole ogni mattina risorge e con la luce la speranza ritorna e la battaglia per sopravvivere continua.
È emozionante seguire solo il flusso di immagini, è divertente immedesimarsi col carattere del gatto che in linea col detto ha davvero nove vite, è emozionante scoprire quadro dopo quadro paesaggi incantati e costruzioni dal sapore antico che ricordano i templi Birmani e le foreste della Cambogia.
Poesia, solo poesia, nessuna predica ecologica e tanta bravura per un regista che ha conquistato il Festival di Cannes e che per Guillermo del Toro “È il futuro dell’animazione”.
Un regista neppure trentenne che del suo lavoro dice:
“Penso che l’animazione possa andare più in profondità nel subconscio degli spettatori di quanto riesca a fare un film ripreso dal vivo. L’animazione non è influenzata da barriere culturali o linguistiche, può essere molto più universale e primordiale. Ma, allo stesso tempo, non credo che dovrebbe essere vista come qualcosa di diverso. È solo un’altra tecnica narrativa.
Non tutto è spiegato nel nostro film. Non spieghiamo perché arrivi l’alluvione e neppure il significato delle statue, ad esempio. L’obiettivo però non era creare un enigma da risolvere, ma offrire al pubblico un’intera esperienza da abbracciare, un film aperto che continui a farci pensare dopo averlo visto”.
Obiettivo raggiunto. Andateci con i bambini: rimarranno incantati.