drammaturgia di Tindaro Granata
regia Giacomo Ferraù e Francesco Frongia
con Giacomo Ferraù, Giulia Viana, Libero Stelluti, Enzo Curcurù
luci Giuliano Almerighi
scenografia Stefano Zullo, movimenti scenici Riccardo Olivier di Fattoria Vittadini
produzione Teatro dell’Elfo, Eco di fondo
con il sostegno del MIBAC e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”
Fino all’8 dicembre al Teatro dell’Elfo
consigliato dai 13 anni
Ci deve essere un modo per uscire dal labirinto. Dedalo imprigionato dal re di Creta con il figlio Icaro inventò le ali per farlo volare. Le ali come simbolo di libertà, come sogno, come speranza di poter spiccare il volo.
Anche qui abbiamo un padre, Vincenzo, e un figlio, Giacomo. Anche loro sono in prigione, una prigione senza muri materiali che si chiama autismo. Il padre non si rassegna, perché è sicuro che ci sia un modo per comunicare con il figlio e liberarlo, la madre segue percorsi più collaudati, parla di psichiatri, di psicologi, di modalità consolidate. Il padre si dibatte e va per tentativi. Il figlio (che incredibile lavoro sul corpo ha fatto Giacomo Ferraù) cerca ossessivamente un contatto, ma è smarrito, trema, ha paura ed esprime tutta la disperazione di chi non riesce a “sentire” il mondo che ha intorno, di chi si chiude in un isolamento che lo fa star male. Ma non riesce a fare altro.
Sulla scena gli attori si muovono prestando corpo e volto a ruoli diversi, ma il tema resta lo stesso: la condizione di una famiglia con un figlio autistico e tutti i loro sensati, ragionevoli ma anche irragionevoli e disperati tentativi di trovare una strada, un modo per essere più sereni.
Non c’è mai un momento sdolcinato e neppure patetico, ma solo una profonda pietas che non viene mai meno. Tutti hanno ragione, tutti hanno torto, nessuno ha una soluzione. Non c’è un modo giusto. Ci sono solo i modi di ciascuno. E le sofferenze di ciascuno.
Il padre e la madre di Dedalo e Icaro decidono di avere un altro figlio che si ribella alla sua condizione: mi avete voluto solo perché lui non rimanga solo dopo di voi, grida ai genitori. Ama il fratello malato, ma non nasconde la fatica e a volte anche la rabbia per uno stato che non ha scelto ma gli è stato imposto.
C’è una scena molto emozionante. A un certo punto Giacomo, il figlio, ha un accesso incontrollabile di rabbia e tempesta il padre di pugni. Vincenzo, il padre, incassa, senza reagire, ma lo sfogo sembra non avere più fine. All’improvviso, senza pensare, istintivamente, risponde a sua volta con un colpo. Il ragazzo si calma: è stato trovato un varco per la comunicazione. Ma vale quella volta, in quel preciso momento e non per sempre. Non sarà replicabile perché non esiste una ricetta e l’autismo resta una realtà misteriosa.
Lo spettacolo si ritaglia momenti poetici, fin dal titolo che fa riferimento al mito, e spezza la tensione con mitologie eterne, la luna, e altre più moderne come la conquista dello spazio e gli astronauti. Un mondo che è rappresentato nella scenografie liquide e bianche, con lenzuola che svelano o nascondono. Sulla scena aleggia il mistero ma si fa largo la voglia di farcela, perché niente è impossibile di fronte all’amore incondizionato di un padre.