Le definizioni per poter circoscrivere il fenomeno
La psicologa Louise Fitzgerald ( Fitzgerald, 1990), tra le prime a studiare le molestie sessuali, ha sviluppato una definizione più operativa, individuando tre tipologie principali:
1. le molestie di genere, che possono includere commenti offensivi sulle donne; osservazioni inappropriate sull’aspetto fisico allusioni sessuali, esposizione di immagini pornografiche;
2. l’attenzione sessuale indesiderata, come nel caso di proposte insistenti di appuntamenti, contatti fisici indesiderati e che provocano disagio;3. la coercizione sessuale, ad esempio minacce e ricatti sessuali, definiti anche quid pro quo (dalla frase latina che significa “qualcosa al posto di qualcos’altro”).
Le prime due forme di molestia contribuiscono a creare quello che è stato definito un ambiente ostile in cui anche le donne che non sono l’oggetto diretto di tali comportamenti possono sentirsi fortemente a disagio.
È bene notare che queste tipologie, utilizzate in molte ricerche, non trovano sempre corrispondenza con i reati previsti dall’ordinamento giuridico italiano. Inoltre, ad esse vanno aggiunte oggi anche quelle rese possibili dal web. Numerosi modelli teorici cercano di dare un senso alle molestie, di capire la loro natura, le motivazioni degli aggressori e le reazioni delle vittime e del loro contesto sociale. Il modello più accreditato è quello che fa riferimento ai rapporti di potere, inclusi quelli basati sul genere.Al cuore delle molestie ci sono delle relazioni gerarchiche: gli uomini hanno potere sulle donne, i datori di lavoro sulle/sui dipendenti, i/le docenti su studentesse e studenti, ma anche i clienti sul personale di vendita.
Spesso queste diverse relazioni di potere si sovrappongono e si intrecciano, moltiplicando il loro effetto (Welsh, 1999): è possibile che il “capo” sia un uomo, la dipendente una donna; il cliente di un albergo un uomo, la cameriera ai piani una donna; spesso appartenente a un gruppo etnico discriminato. Più di recente, è stato messo in luce il fenomeno del cosiddetto contra- power harassment, che avviene quando un soggetto in una posizione subordinata molesta una persona gerarchicamente superiore.
Di solito ciò avviene quando la gerarchia di genere è più potente della gerarchia istituzionale o professionale, come nel caso di uno studente che molesta una professoressa (Rospenda, Richman, Nawyn, 1998).
Per capire un fenomeno è necessario conoscerne l’ampiezza, se sono episodi marginali o di dimensioni epidemiche, se sono aumentati o diminuiti in seguito a interventi preventivi, quali sono le situazioni in cui si verificano più spesso e quali sono le persone più vulnerabili.
Secondo le conclusioni di una rassegna riguardante 74 studi in Europa, tra il 17 e l’81% delle donne occupate aveva subito qualche tipo di molestia sul lavoro (Timmerman, Bajema, 1999). Nello studio europeo coordinato dall’European Union Agency for Fundamental Rights (FRA, 2014), su un campione di 42.000 donne in 28 paesi, il 45% delle intervistate aveva fatto esperienza di almeno una delle forme più gravi di molestia; in un terzo dei casi questo era accaduto nel contesto lavorativo.
Secondo i dati nazionali italiani, il 7,5 % delle donne aveva subito dei ricatti sessuali sul lavoro (quid pro quo) (ISTAT, 2014); nel 30% dei casi si trattava di molestie quotidiane o molto frequenti. Studi in contesti specifici indicano tassi ancora più elevati.
Considerando solo quanto avvenuto negli ultimi 12 mesi, il 54% delle lavoratrici in un ospedale italiano aveva subito almeno un tipo (ma di solito molti di più) di molestia da parte di superiori, colleghi o pazienti (Romito, Ballard, Maton, 2004). Le molestie sessuali sono così frequenti e diffuse che sembra difficile identificare i contesti che le facilitano o le caratteristiche che rendono le donne maggiormente vulnerabili (McDonald 2012).
Il quadro che emerge è desolante: alle donne non sembra ancora riconosciuto il diritto di esistere e di essere rispettate nei luoghi pubblici, mentre agli uomini resta tuttora riconosciuto il diritto di occupare da padroni questi spazi e di esigere dalle donne gratificazione sessuale. Tuttavia, una lettura delle molestie in termini esclusivamente sessuali è fuorviante.
L’ostilità con cui molti uomini ancora reagiscono a quella che considerano un’intrusione nei loro domini suggerisce che spesso la natura delle molestie di origine sessista più che “sessuale”. Non a caso, molte studiose preferiscono oggi utilizzare il termine di “molestie sessiste”, più aderente alla realtà che stiamo iniziando a rivelare.
Il testo da cui ho preso queste informazioni è Le molestie sessuali – Riconoscere, combatterle, prevenirle, a cura di Patrizia Romito e Mariachiara Feresin. Un saggio ricco di fonti e di spunti, con un riferimento interessante anche al quadro normativo. Si parla di molestie di cui sono vittime anche se in misura minore anche gli uomini. Si parla di ambiente universitario, sportivo, lavorativo in generale, con approfondimenti agli aspetti online, come il revenge porn o il sexting.
Un capitolo speciale è dedicato alle molestie in agricoltura, a cura di Stefania Prandi. Si affronta anche il tema del lavoro e modello prostituzionale.
Si tratta anche di ricadute sulla salute. Si affrontano le motivazioni di una resistenza a denunciare, con le tipiche reazioni di una violenza.
Non si fa solo approfondimento ma si offrono spunti per prevenire e reprimere le molestie.
Come si fa prevenzione? Per preparare un progetto, ma anche per orientarsi tra i tanti interventi disponibili, è utile avere in mente i modelli più accreditati, tra cui quello sviluppato nell’ambito della salute pubblica da Gerald Caplan, che identifica tre fasce di prevenzione:
1. primaria, cioè orientata a intervenire prima che qualsiasi situazione problematica si manifesti e rivolta quindi a tutta la popolazione, indistintamente;
2. secondaria, quando si interviene su situazioni potenzialmente problematiche o quando l’intervento consiste nell’identificazione precoce di un problema;
3. terziaria, volta a intervenire quando il problema si è già manifestato e si vuole evitare l’aggravamento e la cronicizzazione.
Altrettanto importante è il cosiddetto “modello ecologico” secondo cui è necessario vedere la società come composta da vari livelli concentrici: l’individuo, la famiglia, le relazioni affettive, le comunità di riferimento (come scuola, gruppo sportivo, quartiere ma anche posto di lavoro), la società nel suo insieme (le leggi, le politiche sociali, i media..). In ognuno di questi livelli è possibile fare prevenzione Primaria, secondaria o terziaria.
Quindi tra sensi di colpa e difficoltà ad essere credute il fenomeno resta per lo più sommerso e il me too in Italia non ha preso una bella piega, ottenendo scarsi risultati e poche adesioni. Ricordiamo tutte la denuncia della giornalista sotto lo pseudonimo di Olga Ricci.
Le molestie sessuali fanno parte di quel continuum di violenze agite contro le donne in quanto donne (definite anche gender-based violences): molti degli interventi strutturali necessari per prevenire le molestie – come combattere le discriminazioni sociali ed economiche basate sul genere, contrastare l’immagine delle donne come oggetti sessuali accessibili disponibili e, più in generale, promuovere una cultura basata sul rispetto e sulla non violenza – coincidono quindi con le azioni per prevenire la violenza contro le donne e di genere.
Altri interventi sono invece diretti a contesti specifici (il posto di lavoro, il mondo dello sport, il web) o a popolazioni specifiche (bambini e bambine delle scuole dell’infanzia o primarie, adolescenti, gruppi vulnerabili). Qui accenneremo soltanto a due ambiti: le azioni nei confronti di bambine e bambini e di adolescenti e le policies nei luoghi di lavoro.
L’approccio migliore consiste naturalmente nella prevenzione primaria, e cioè in un’azione diretta a tutta la popolazione, a cominciare dai più piccoli e piccole, per smantellare quei pregiudizi e quegli stereotipi che sono alla base della svalorizzazione delle donne e contribuiscono alla discriminazione nei loro confronti.
Esistono interventi educativi adatti a bambini/e di tutte le età, da proporre a scuola o nei luoghi di aggregazione, che si basano sulla messa in discussione dei ruoli di genere stereotipati e sulla promozione di una cultura basata sul rispetto.
Un testo da conservare nella propria libreria, che può essere utile anche a scopo didattico, formativo, ma soprattutto come riferimento pratico quando ci viene per esempio suggerito di farci una risata o veniamo semplicemente oppresse in quanto donne. Ricordiamoci infine di non accettare mai il sessismo nei piccoli gesti o parole quotidiane. Gli strumenti normativi ci sono, ma è importante che si crei un ambiente consono alla denuncia e soprattutto, la prevenzione appare sempre la strada migliore da percorrere se possibile.