da Marta Ajò
Non c’è niente di nuovo: allo scadere di ogni anno si fa il bilancio di quello che di buono o di cattivo è stato fatto o è accaduto. Si brinda in modo scaramantico ai prossimi 12 mesi e si fanno buoni propositi.
Diamine!, possibile che in questa tradizione temporale si riversino tutte le speranze di un cambiamento?
Gli obiettivi, in genere ambiziosi, che ciascuno si dà per l’anno a venire di certo variano di molto nella sostanza e nel tempo. Le varianti, l’equazione maggiori-minori, dipendono dal genere, dall’età, dallo status individuale.
Un conto è sognare di fare un viaggio intorno al Mondo un altro quello di acquistare una casa, o ancora se si vuole raggiungere una meta impegnativa nel lavoro o se si è disoccupati, se si desidera avere un figlio naturale o di adottarne uno, se vorremmo separarci o divorziare o ancora solo essere più disponibili verso il prossimo.
Oppure darsene di minimi (seppure faticosi), come smettere di fumare, di mangiare troppo, di iscriversi in palestra, di fare meno shopping sconsiderato.
Avere propositi è buona cosa e non costa niente.
Peccato che dal 1 gennaio dell’anno nuovo, che stiamo per accogliere festosamente, ci sembrerà che niente sia mutato nel Mondo.
Perché a ben guardare ai conflitti ancora aperti, sembra che la via di una ragionevole intesa non trovi alcuno sbocco e la Pace allontanarsi sempre di più. I confini geografici e l’incontro tra popoli assumono sempre più il contorno di uno scontro di religioni e di etnie, d’integrazioni difficili.
Avviati ma ancora lontani i 17 Obiettivi comuni dell’ Agenda per lo Sviluppo Sostenibile da raggiungere entro il 2030, sottoscritti da ben 193 Paesi membri delle Nazioni Unite nel 2015 e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU.
Cosa è stato fatto, quanto mancherà?
Perché i traguardi sembrano ancora molto lontani nonostante che un decennio sia già passato. I problemi, in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale ben lungi dall’essere risolti.
E soprattutto quanto ci vorrà per eliminare fame, povertà e disuguaglianze?
Quanto perché siano rispettati i diritti umani?
Quanto per riparare ai danni dovuti a catastrofi ambientali che hanno messo in ginocchio tante zone del Pianeta?
Quando potremo dare un senso profondo alla parola “libertà”, che non sia quella falsamente e impropriamente usata nei social?
Legittimamente preoccupati di un mondo in cui da una parte si punta ad investire sempre di più allo sviluppo della tecnologia, dall’altra si ripristinano antiche regole di sopraffazione e violenza.
Il 31 dicembre i brindisi saranno mossi più dalla speranza del futuro che dall’euforia per l’oggi.
Perché la fiducia, l’attesa, il sogno per un mondo migliore, che non hanno mai hanno abbandonato i popoli neppure nelle peggiori tragedie, sono anche una “sfida” collettiva.
A salvare il pianeta, assicurare una vita dignitosa per tutti e non solo a pochi, perché la parola “globalizzazione” significhi convivenza, sicurezza e scambio alla pari.
Lasciamo dunque quest’anno con l’ottimismo del bene a cui si aggrappa da sempre l’umanità.
E un solo brindisi: alla Pace e alla prosperità!