regia di Pablo Larraín
con Angelina Jolie, Piefrancesco Favino, Alb Rohrwacher, Kodi Smit-McPhee, Valeria Golino, Haluk Bilginer
Dal 1 gennaio nelle sale
I ritratti di donne lo interessano in modo speciale. Pablo Larraín ci ha già raccontato (e bene) le vite di Jackie Kennedy e di Diana Spencer ed ora affronta un altro personaggio che ha segnato il Novecento: Maria Callas. L’ambizione del regista cileno non sono biografie esaustive a tutto campo, quanto la cristallizzazione di momenti significativi nelle vite delle donne che vuole immortalare, giorni che vengono raccontati in modo approfondito e con uno sguardo preciso, quasi chirurgico.
Quello che ha scelto per la più grande cantante lirica del secolo scorso è il momento più triste, solitario y final, e infatti per tutto il film si respira un clima funereo, interrotto solo a tratti dalla luminosità dei ricordi di una felicità perduta. Seguiamo la Callas nell’ultima settimana di vita, nella residenza museo di Parigi, accudita da due devoti domestici, un maggiordomo e una cuoca che inutilmente si spendono per salvarla. Perché la china di autodistruzione su cui si è incamminata è così violenta e senza speranza che è impossibile per chi le vuole bene non rendersene conto.
La diva è svuotata, esausta, non mangia, il corpo opulento della giovinezza si è assottigliato negli anni per le diete e i farmaci, farmaci forti, barbiturici e di peggio da cui è dipendente.
Il film si snoda come un sogno-incubo, con al centro Angelina Jolie nel ruolo della vita: non ha cercato piattamente di assomigliare fisicamente alla soprano ma piuttosto di farne sua l’anima. E la voce: è lei a interpretare le arie e la fatica che le costa cantare rende benissimo quella fatica che Maria Callas provava negli ultimi giorni di vita, lo sforzo che le costava ogni gesto e ancor di più la sfida testarda di provare ancor una volta le arie che l’avevano resa famosa.
I ricordi affiorano, la madre che vendeva le due figlie ai tedeschi, in Grecia, durante l’occupazione nazista, i successi che aveva fatto di lei una regina e il grande mai dimenticato amore per Onassis, un ricordo struggente che ha contribuito a consumarla.
I ricordi sono sedute psicanalitiche, fantasie e ossessioni tutti costruiti per modellare lo strazio della fine imminente, l’incapacità e l’impossibilità di continuare a vivere, accompagnata dalla voglia disperata di rivivere la gloria del tempo che fu.
Angelina Jolie merita una nomination agli Oscar, perché è credibile in ogni momento e sa far suo il dolore di Maria.
Alba Rohrwacher in versione super dimessa (è la cuoca) e Pierfrancesco Favino (molto devoto e accudente nei panni del maggiordomo) fanno invece un’impressione strana, credo però solo al pubblico italiano. Il problema è che sono due attori molti caratterizzati e fatichiamo a trovarli credibili, perché più che recitare sembra che restino molto loro stessi. Forse è un limite che gli spettatori internazionali non coglieranno. Valeria Golino (che è greca da parte di madre) nel cameo come sorella della Callas convince ed è amalgamata al resto del film, mentre appunto Favino e Rohrwacher è come se restassero due corpi estranei.