Non unirò la mia voce al coro di esultanza seguito alla liberazione della reporter Cecilia Sala, avvenuta dopo 20 giorni di arbitraria detenzione nel carcere iraniano di Evin per ragioni rimaste assai vaghe. Non mi presterò al gioco dell’ipocrisia imperante per avvalorare la tesi dell’onnipotenza governativa.
Apprezzo ovviamente la volontà e la determinazione della premier Giorgia Meloni a risolvere una questione alquanto spinosa, controversa e complessa sul piano sia politico che diplomatico.
Accondiscendere all’istanza di Teheran, tesa alla scarcerazione dell’ingegnere iraniano Mohammed Abedini Najafabadi – arrestato all’aeroporto di Malpensa su indicazione di Washington per aver dotato l’Iran di droni e componenti elettronici utilizzati in un mortale attacco a svariati soldati statunitensi – rischierebbe di incrinare la storica e solida alleanza con la Casa Bianca (sebbene il recente incontro della leader italiana con il presidente eletto Donald Trump, sullo sfondo di Mar-a-Lago, Florida, potrebbe aver sensibilmente influito sul repentino sviluppo degli eventi occorsi).
Concedere agli Usa l’estradizione del prigioniero – attualmente rinchiuso nel carcere milanese di Opera – equivarrebbe d’altro canto a tradire le aspettative della Repubblica Islamica, che non ha certo contribuito al repentino rilascio di una detenuta straniera nel proprio territorio per puro spirito di compassionevole solidarietà.
Tuttavia, a prescindere dagli effetti tangibili conseguiti in questa assurda vicenda dai risvolti terribilmente opachi, non posso evitare di porre in evidenza alcuni aspetti intenzionalmente sottovalutati, se non direttamente ignorati dalla pubblica opinione.
La profonda e annosa amicizia che lega il vicepremier, nonché capo della Farnesina, Antonio Tajani ai familiari della donna appena rilasciata dal regime degli ayatollah, tanto per cominciare.
“(…) Sono amico personale del padre, quindi ho seguito anche con particolare apprensione le vicende di questa giovane giornalista. Oltre al dovere da ministro, ci ho messo anche un po’ di affetto del padre e dell’amico”, ha precisato il titolare degli Esteri nel corso di un’intervista trasmessa dalla televisione pubblica.
Esternazioni analoghe da parte di Renato Sala, genitore di Cecilia: “Il conforto di un’informazione, pur tutelata ma diretta e immediata indubbiamente ha aiutato molto”.
Già. Dubito infatti che in assenza di vincoli amichevoli con figure istituzionali la famiglia Sala avrebbe beneficiato di tanta dedizione. Dubito che a fronte di perfetti sconosciuti il caso si sarebbe apparentemente concluso con altrettanta rapidità.
E non per cinismo, bensì per mero pragmatismo. È innegabile che in Italia le conoscenze “giuste”, i cosiddetti agganci, insomma, siano di importanza basilare ai fini del successo. Sempre e comunque. Chiunque insista a negare tale realtà non possiede evidentemente gli strumenti adatti per azzardare valutazione alcuna.