Strategist, consulente e formatrice, principalmente nel mondo digitale, in cui lavora dal 1997. Continua a occuparsi di strategia di comunicazione, e insegna anche in un corso di specializzazione del Sole 24 Ore, oltre che per singoli clienti come consulente. Una nuova strada per la formazione da lei seguita è quella sull’IA generativa. Ed è per questo che abbiamo voluto intervistarla.
Che attività hai svolto finora?
Sono principalmente una strategist, mi occupo cioè di strategie di comunicazione, di contenuti, di brand storytelling. E da un paio di anni anche di Intelligenza Artificiale Generativa. Una parte del mio lavoro è quello delle ricerche di mercato, per le quali mi occupo della parte qualitativa, in particolare di analisi semiotica. E’ un lavoro che adoro, ma appunto è solo una parte e nonostante le apparenze è molto collegato con tutto il resto, perché senza ricerca non si possono elaborare strategie sensate.
Sposata, figli?
Ho un marito nerd e un figlio di 21 anni gamer. Credo nel potere terapeutico della musica e in quello anestetico del bingewatching. Preferisco fare domande piuttosto che dare risposte – e so ascoltare.
Cosa hai in programma? Pensi di aver imparato a sufficienza? E che sia ora di tramandare e insegnare?
Non credo che ci sarà un momento in cui potrò dire di aver imparato a sufficienza. Nel mio lavoro cambia tutto in continuazione, basti pensare all’intelligenza artificiale! Certo, ci sono cose che non faccio più: per esempio non sono mai stata una social media manager (ruolo che ci poteva anche stare, all’inizio, considerato che di social mi sono sempre occupata) ma mentre fino a qualche anno fa potevo farmi carico di gestire, non so, una pagina LinkedIn o Facebook, oggi non lo faccio più. Ci sono persone molto più brave di me. Tutte le professioni del settore si sono verticalizzate molto, star dietro a tutto è impossibile.
Però tramando, eccome se tramando. Faccio moltissima formazione. Con un obiettivo: formare persone che domani mi piacerebbe avere come colleghe e colleghi o come clienti. Mi è successo di avere come collega una mia ex studentessa, e mi sono sentita orgogliosa come se la mia vicina di scrivania fosse mia figlia.
Cosa pensi di GenAi? Un’opportunità o un pericolo? Tu usi l’intelligenza artificiale?
Io uso l’intelligenza artificiale, principalmente per il mio lavoro, ma a volte anche per cose molto più leggere. Indubbiamente ne sono affascinata e il fatto che sia una delle mie materie di insegnamento mi obbliga a tenermi costantemente al corrente di quello che succede, di come si evolve.
Sul fatto che sia un’opportunità lavoro quotidianamente: ogni volta che apro una piattaforma di GenAI ringrazio chi l’ha inventata per il tempo che mi sta facendo risparmiare.
Sul fatto che sia un pericolo ho sospeso il giudizio. Ho abbastanza superato il timore che ci possa togliere il lavoro per le motivazioni che conosciamo tutti: è una svolta evolutiva, come le automobili rispetto alle carrozze a cavalli. Qualcuno dovrà lasciare il suo lavoro, ma si apriranno tante altre opportunità che oggi non possiamo neanche immaginare, un po’ come quando è arrivato il digitale e siamo diventati consapevoli che la maggior parte degli studenti avrebbe fatto un mestiere che ancora non esisteva (senza parlare del fatto che anche noi della nostra generazione ci siamo trovati a fare mestieri che, appena iniziate le nostre carriere, non avremmo potuto neanche immaginare).
Per questo lavoro costantemente perché gli insegnanti e gli studenti sappiano che cos’è l’AI, come può aiutarli e anche come può danneggiarli. Solo una formazione costante e approfondita ci consente di ridurre i rischi, perché ci dà un margine di controllo che dovrebbe metterci nelle condizioni di capire quando sta per succedere qualcosa di grave. La conoscenza , quindi, insieme a un approccio multidisciplinare: finalmente si inizia a comprendere che questa meraviglia del ventunesimo secolo non è solo una questione di tecnologia ma anche, tanto, di filosofia, di semiotica, di etica.
E’ come se davanti all’intelligenza artificiale tutti dovessimo diventare più bravi nell’arte di fare e farci domande. Che chiameremo prompt quando le rivolgiamo a una piattaforma e semplicemente domande, appunto, quando le rivolgiamo a noi stessi. Quali domande? Fin dove è accettabile che ci spingiamo, per esempio. Come conciliamo questa tecnologia con la crisi climatica. Quanto siamo disposti a farci dire da una chat quello che dobbiamo pensare. E così via.
Cha vorresti che non c’e?
Ah, che domanda difficile.
Vorrei che la comunicazione venisse presa sul serio da tutti, non solo dai politici in costante campagna elettorale. Vorrei che si capisse che non serve solo a vendere merendine, ma è fondamentale per formare dei cittadini consapevoli, dotati di spirito critico.
Vorrei che i freelance avessero una vita un po’ più semplice. Per esempio, che potessero prendersi un’influenza senza che il cliente per il quale non hanno potuto scrivere il post di auguri di Natale dell’azienda li cancellasse per sempre dalla sua rubrica.
Vorrei, infine, che la scuola fosse più consapevole del “mondo di fuori”. E questa è la cosa che considero più urgente di tutte, altrimenti aspettiamoci (almeno) una generazione di studenti che non sarà in grado di leggere comprendendo e scrivere dando profondità al suo pensiero. Perché queste cose se le farà fare da ChatGPT, rimanendo fuori.
Una nuova strada per la formazione è quella sull’IA generativa. Ho iniziato insegnando GenAI nelle scuole, a docenti e studenti, con l’obiettivo di trovare un modo per facilitare il lavoro dei docenti e fornire delle linee guida agli studenti, che altrimenti si limitano a farsi fare i compiti da ChatGPT senza avere la più pallida idea di cosa sia e come funzioni (oltre, naturalmente, a come utilizzarla per crescere invece che per copiare). Oltre alle scuole, questa formazione è destinata (in modo diverso, naturalmente) anche alle aziende.
Inoltre collaboro con un’azienda che si occupa di ricerche di mercato attraverso una piattaforma Saas e che spesso fa consulenze ai clienti che hanno esigenze più ampie. In questo caso io mi occupo della parte qualitativa delle ricerche, attraverso interviste, focus group e analisi semiotica, che utilizzo per la definizione dei risultati della ricerca e per tracciare le linee guida sulle azioni successive.
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