regia di Walter Salles
con Fernanda Torres, Selton Mello, Fernanda Montenegro
nelle sale dal 30 gennaio
L’unico modo per affrontare il futuro con serenità è quello di fare i conti col passato. Un passato che per molti paesi sudamericani è stato insanguinato dal terrore di feroci dittature. Diversi sono stati gli sguardi di scrittori, testimoni e registi sulle atrocità dei regimi militari, quello scelto da Walter Salles nel suo ultimo film si tiene lontano dalla cronaca, dal thriller e anche dal dramma politico per scegliere una strada intima, discreta, familiare e molto personale. Anche perché il regista conosceva bene la famiglia di cui si narra la storia (vera) visto che negli anni Settanta frequentava la loro casa ed era amico del figlio Marcelo Rubens Paiva, autore poi da adulto del romanzo che ha ispirato il lavoro (Io sono ancora qui, pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera).ù
Il film si apre su immagini solari in una città, Rio de Janeiro, che nei primi anni Settanta è animata e vivace, una società aperta, con gente dai volti sorridenti, una spiaggia meravigliosa e un mare altrettanto bello. Si vive bene in quel periodo in Brasile, si respira l’aria della libertà, i bambini possono giocare, i giovani possono divertirsi, ascoltare musica, innamorarsi, fare politica, gli adulti seguire famiglie dove si cresce senza tensioni.
Una di questa famiglie è quella di Rubens Paiva, ex deputato e ora avvocato, innamorato della moglie Eunice e padre di cinque figli che si vogliono bene e litigano come succede tra fratelli. Purtroppo qualcosa di orribile sta per abbattersi sul Paese più grande del Sudamerica e proprio questo improvviso, inaspettato choc è il momento più intenso del film, quello che stringe il cuore, ancor più delle scene ambientate nelle carceri.
Forse proprio perché lo ha vissuto, forse proprio perché quell’angoscia appartiene alla sua storia, forse è proprio per questo che Walter Salles riesce a raccontare con così tanta empatia lo sgomento che ha stritolato in quei momenti ogni brasiliano dal cuore libero. Da un giorno all’altro, da un istante all’altro, con impercettibili segnali, qualche macchina della polizia in più, qualche militare armato all’angolo delle strade, dei giovani fermati e trattenuti in questura senza motivo, ecco apparire tanti segnali trascurati che all’improvviso prendono la forma di un incubo: i militari hanno preso il potere, più niente sarà come prima e a dominare sarà solo la cultura del sospetto, della denuncia, della delazione.
Vediamo poco le carceri, sappiamo poco di quel che succede al capofamiglia, Rubens, che fino a un momento prima è in casa, che bacia la moglie, gioca e scherza coi figli e un attimo dopo sparisce. Per non tornare mai più.
Lo sguardo del regista è concentrato su chi resta, in primis la straordinaria figura di Eunice, madre e moglie coraggio, a cui dà volto, corpo e emozioni la splendida Fernanda Torres, candidata all’Oscar per la sua interpretazione. Eunice non si arrende, si rifiuta di consegnarsi al regime e di scendere a patti coi militari. Tutto il suo impegno è volto a che i figli continuino a sorridere, perché nessuna dittatura potrà spegnere il diritto di vivere dei suoi cari. Ma al tempo stesso non smetterà mai di lottare per ottenere la verità sulla sorte del marito.
Continuerà per anni e anni, fino a quando potrà stringere fra le mani il certificato di morte del marito. Un lutto, ma anche la verità: il regime ha dovuto ammettere. Rubens Paiva è stato una delle migliaia di vittime della dittatura.
Il film è intenso, emozionante e mantiene costante una grande fierezza nel racconto che è la stessa sprigionata da Eunice che alla fine del film ha il volto dell’anziana Fernanda Montenegro (madre di Fernanda Torres) che era stata la premiata protagonista di uno dei primi e più bei film di Salles, Central do Brasil.
Il film di Walter Salles è una delle più alte testimonianze per chi ancora crede nell’impegno civile e nel diritto alla giustizia. E anche nel grande cinema.