In occasione del bicentenario il Museo Egizio di Torino, il più antico del mondo, è stato completamente rivisto e sistemato, secondo i dettami che, archeologicamente parlando, sembrano più aderenti a quelli voluti dagli Antichi Egizi. Dal 5 ottobre l’operazione è stata denominata “Materia. Forma del Tempo”.
Museo come non si è mai visto
Christian Greco, Direttore del Museo, spiega come dall’egittologo Ernesto Schiaparelli (1856 – 1928) direttore del Museo Egizio di Torino per 35 anni in poi, gli studi archeologici non siano solo sul campo, ma anche approfondimenti con indagini scientifiche, geologiche e chimiche, interpellando la biografia dei reperti. Una istituzione come il Museo Egizio è costituita da individui che si interrogano sul significato culturale delle epoche precedenti e che sperimentano ricostruzioni, anche in video multimediali.
Gloss sostiene che
e, apprezzando il lavoro di revisione dell’Egizio “Materia. Forma del Tempo”, vede che il suo sentire è appassionatamente condiviso dagli egittologi torinesi con i visitatori. È un sentimento che consente la comprensione di chi siamo e da dove veniamo.
Turisti, studiosi e curiosi si aggirano tra legni, pigmenti, vasi in ceramica e oggetti in pietra, dall’Epoca Predinastica (ca. 4000-3100 a.C.) a quella Bizantina (565-642 d.C.), in un percorso espositivo palesato su circa 700 metri quadrati tra piano terreno e ipogeo, frutto di un circostanziato investigazione inter e multidisciplinare.
Multimedialità
Dedicata a legni e pigmenti, nella prima sala ai visitatori sono proposte due eleganti e spaziose vetrine che narrano ciascuna una quarantina varietà diverse di questi materiali a partire dagli oggetti di uso quotidiano per arrivare ai sarcofagi, immense “matrioske mangia carne” (sarcofago=mangia carne).
Sorta di “palette Pantone”, gli egittologi mostrano 39 pigmenti di origine minerale e organica usati dagli antichi Egizi, tra cui il famigerato “blu egizio”, il solo a essere ottenuto con intervento umano esterno (riscaldamento ad altissima temperatura).
La vetrina dei legni, invece, ne espone una quarantina con campionature e delucidazioni sul tipo di lavorazione tecnica e impiego, sia quotidiano che tombale.
Legni e pigmenti trovano poi naturale sintesi nell’esposizione di un sarcofago caratterizzato da una complessa vicenda costruttiva narrata attraverso proiezioni e videomapping.
Focalizzata su funzioni dei singoli oggetti, sui contesto di provenienza e sul tipo di produzione, ancora oggi eseguita con uguali modalità da artigiani locali e non (lo dimostra uno splendido documentario sulla lavorazione delle argille), la seconda sala ricorda ai visitatori una sorta di biblioteca con vetrine terra/cielo su due piani che espongono quasi 5000 vasi, organizzati secondo un criterio che va oltre i paradigmi della tradizione museale.
Mistero e terrore Nell’ ultima a sala, oggetto di disputa tra i visitatori innamorati dell’allestimento di Dante Ferretti, la statuaria. Se il precedente allestimento si impernia sull’aura di mistero che circonda quel mondo, fatto di Piramidi da esplorare, mummie polverose che si risvegliano inaspettatamente, serpenti striscianti sul fondo delle tombe, avvolto da sentimento di segreto terrore, (la filmografia di Indiana Jones ne è maestra), con quello nuovo, i curatori dell’Egizio hanno deciso di ribaltare il climax in luce vivente e tutt’altro che misterica, nell’esaltazione di quei particolari dei reperti lapidei sconosciuti ai più, come la mano del faraone delicatamente appoggiata dietro la spalla della divinità.
« I reperti lapidei trovati nelle tombe in Egitto erano avvolti dalla luce del sole », spiega l’addetta. « L’architettura del Museo non permette l’entrata del sole diretto, perciò gli architetti hanno pensato di sopperire abbassando le statue dai piedistalli, posizionando appositi faretti puntati su di esse e, soprattutto, rivestendo le pareti di lastre d’acciaio che catturassero e riflettessero dall’esterno all’interno la luce. »
Esposizioni chirurgiche
Gloss però manifesta le proprie perplessità.
« D’accordo, tutto ciò è validissimo e molto estetico. Però trasforma la sala della statuaria in sala operatoria. » (Risatine) « Siamo sicuri che gli Antichi Egizi lo avrebbero voluto? »
La solerte volontaria, evidentemente abituata all’obiezione, ribatte che gli Antichi Egizi possedevano già i primi rudimenti di chirurgia per l’imbalsamazione. « E del resto anche Archimede, per illuminare le città, utilizzò gli specchi… »
« Vero, tuttavia gli Egizi non usavano la chirurgia in senso curativo ma funebre e mortuario, e Archimede, mi corregga se sbaglio, venne ben più tardi degli antichi Egizi…» (Di nuovo risatine). Il pubblico del Museo Egizio è colto. L’addetta si sta… arrampicando sugli specchi. Per tutta risposta, conduce gli astanti ad osservare la mano del Faraone che avvolge la spalla del dio.
« Con questo nuovo allestimento ad altezza occhi e più luminoso, il visitatore può apprezzare particolari mai visti con Dante Ferretti…» e mette finalmente a tacere Gloss.
Nuovi dettagli mai osservabili
Sterili polemiche a parte, il nuovo allestimento, valorizzando la competenza tecnica degli antichi Egizi nelle lavorazioni di differenti pietre, nei processi artigianali del legno e degli strumenti che portano dal materiale grezzo alla realizzazione di oggetti, conferisce agli egittologi torinesi il merito di far compiere ai visitatori un viaggio all’origine della materia e del saper fare nell’antico Egitto. Persino chi ha visitato il Museo più volte in passato, troverà il beneficio di essere condotto a riflettere sui metodi di creazione e sulle abilità egizie con l’ausilio di contemporanee tecnologie GenAI disseminate nelle sale.