Regia di Anaïs Tellenne
Con Raphaël Thiéry, Emmanuelle Devos
Uscita 13 febbraio
Potrebbe essere un romanzo di Simenon, non un Maigret, ma uno di quei libri che lo scrittore definiva “duri”: la provincia francese, un ambiente claustrofobico, un pugno di personaggi dalle relazioni aspre e armadi pieni di scheletri.
Siamo in Borgogna, in uno splendido manoir i cui proprietari sono nel corso del tempo in gran parte deceduti. Il castello è curato da Raphaël , un uomo roccia, solitario, forte e silenzioso che tiene il giardino e si occupa di tutto, sotto lo sguardo severo della madre, che era cameriera nei tempi eroici e lo tratta come fosse ancora e sempre il suo bambino.
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Le giornate sono scandite da ritmi sempre uguali, Raphaël, fisico massiccio e un occhio solo, lavora sodo ma trova il tempo per suonare la cornamusa con gli amici del villaggio e per svelti incontri nel bosco con la postina conditi da qualche contorno sadomaso.
Una notte, ovviamente buia e tempestosa, si presenta all’improvviso al cancello l’ereditiera, Garance, una cinquantenne poco convenzionale. Autoritaria e con poca voglia di vivere, si è lasciata alle spalle qualcosa di greve. Ma non dice, non spiega, non chiede aiuto.
Fra lei e il fedele Raphaël inizia un gioco che potrebbe diventare pericoloso, fatto di sguardi e curiosità. Ma se per la donna si tratta soprattutto di un interesse artistico, in Raphaël nasce da subito un sentimento più intimo e rischioso.
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Ma chi è Garance? Non ha più parenti, non un marito, non figli. Sembra del tutto sola e solitaria. Raphaël comincia a indagare e scopre che è un’artista famosa. Una notte si introduce nel suo studio e si trova di fronte a una sorprendente rivelazione: proprio lui, l’uomo di fatica della tenuta, è diventato una musa ispiratrice, perché la stanza è piena di disegni che lo ritraggono e c’è persino l’abbozzo di una statua. Ecco a cosa serviva tutta l’argilla che Garance si faceva portare.
Da quel momento il rapporto fra lui e Garance cambia. Lei in qualche modo lo nobilita, gli spiega che è come un paesaggio ed ecco che quel corpo che gli era sembrato sempre privo di interesse si è trasformato in un territorio da esplorare. Così cominciano le sedute di posa che diventano sempre più intime: l’artista e il modello si fidano sempre di più uno dell’altro.
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Il film prende il volo, perché l’ambizione della regista di esplorare l’ispirazione artistica mette in scena una relazione che come l’argilla si plasma, prende forma, cambia, si arricchisce, stupisce.. Che rapporto si instaura fra un artista e il suo modello? Come si influenzano reciprocamente? Qual è l’essenza del mestiere di un artista oggi, visto che sempre più spesso l’arte si esprime con performance? Garance è l’emblema di tante pittrici e scultrici moderne, perché ha sempre lavorato su se stessa e sul suo dolore, raccogliendo ad esempio in ampolle le sue lacrime. 72 per il divorzio, ma ben 120 per il trasloco.
E Raphaël che ruolo potrà avere in tutto questo e come potrà sopravvivere lui, che ha alle spalle una vita semplice, lontana dall’arte? Garance vampirizza o può anche con generosità dare alla sua fonte di ispirazione?
Interrogativi attuali che diventano universali nelle sale antiche del manoir, aiutate anche dall’arcaica e quasi mitologica fisicità del protagonista. Un volto e un corpo che non si dimenticano facilmente quelli di Raphaël Thiéry.
L’uomo d’argilla è un’opera prima che fa ben sperare sui prossimi lavori della giovane, ambiziosa regista .