Conosciamo Marileda Maggi da molto tempo ma abbiamo voluto intervistarla per sapere come procede la sua carriera iperattiva tra radio e web. Così scopriamo il suo mondo coinvolgente, interattivo sempre proiettato verso il futuro pronto ad imparare, ed insegnare, fino a diventare un vera ispirazione per le donne in un settore come quello della produzione audio.
Marileda Maggi è voice talent, doppiatrice, copy e professionista dell’informazione radiofonica nazionale per la testata giornalistica GRNews.
Dopo un primo periodo formativo nelle radio locali baresi, si classifica tra le voci di spicco del web nel corso del primo WebRadioFestival organizzato da Radiospeaker, conquista il mercato dei programmi di intrattenimento in post-produzione al servizio di 72 emittenti in tutta Italia.
Scrive di cinema e leggende per Hera di Acacia Edizioni. Collabora con le reti televisive Marcopolo e Vuemme.
Approcciato il mondo del doppiaggio romano sotto la guida del maestro Giorgio Lopez, lavora con società di doppiaggio, tra cui: Pumais Due, StudioEmme, Dubbing.
Diventa adattatrice al doppiaggio e in qualità di libero professionista produce audiolibri, podcast, documentari.
Partecipa al laboratorio di radiofonia LUFS con Andrea Borgnino e Roberto Paci Dalò. Fonda il suo Studio nel 2010 e presta voce per prestigiosi brand e istituzioni pubbliche: Regione Puglia, Mazda, Fiera del Levante, Agenzia delle Dogane, Babbel, Tedx, Carrefour, OVS, Spotify, Amazon, Istituto Superiore di Sanità, Museo dell’Automobile di Torino, Fondazione Maria Callas.
Rolemodel per l’omonimo progetto di Valore D Inspiring Girls, ha promosso nelle scuole l’abbattimento degli stereotipi di genere legati al mondo del lavoro e in qualità di testimonial supporta l’attività educativa Libriamoci – Giornate di lettura nelle scuole. Consulente produzione adv nonché voce ufficiale di Telebari e Radiobari. Guest nel manuale Professione Podcaster di Alessandro Mazzù per Flaccovio.
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Ti sei occupata di radio da sempre. Ci racconti la tua storia? Dalla radio al web al podcast?
Ho iniziato per caso, ancora giovanissima, avrò avuto quindici anni. Chiamavo le radio locali che, in mancanza dei social (non erano ancora stati inventati), diventavano luoghi di ritrovo e spazi per esprimersi con i propri interventi. Poi è arrivata la voglia di stare dall’altra parte del vetro e qualche occasione: alcune prese, altre perse, altre giocate malissimo. Ero una testa calda e, sotto l’età della ragione, credi sempre di poter conquistare il mondo con una matita spuntata.
Canale100, RadioBari (di cui oggi sono voce ufficiale), i Radioincontri, RadioNation, la radio su Second Life, un programma in distribuzione locale su tutto lo Stivale. Ho fatto un po’ di giri finché non mi hanno proposto di monetizzare la mia voce con la spottistica e il doppiaggio: meno divertenti, ma più remunerativi. Ho conquistato qualche podio come miglior voce della radiofonia digitale, che però lascia il tempo che trova. Oggi sono una delle voci dell’informazione su KissKissItalia e RadioIbiza, perché non si possono mangiare coccarde per sempre. Con una combinazione di fortuna e contatti giusti (al momento giusto) capisci “cosa vuoi fare da grande”, soprattutto se devi pagare le bollette. Il fattore fortuna conta, ma conta anche rendere credibile il proprio nome nel settore. I sogni sono meravigliosi quando si realizzano, ma io ho lasciato che realizzarmi come donna indipendente e posizionata venisse prima di concretizzare sogni.
I podcast sono stati una naturale evoluzione: scrivere, parlare, comunicare, mettere a frutto gli anni di regia radiofonica e post-produzione. Era una strada possibile. Oggi insegno podcasting con FuoriLaVoce ETS ai ragazzi e alle ragazze delle scuole medie e superiori in tutta Italia, affinché possano trovare una via di espressione… temperando le loro matite.
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Cosa vuol dire essere una voice talent? Esistono ancora delle belle voci? E se sì, quali?
Le belle voci. A lungo c’è stato un canyon tra voce educata e voce con personalità. Difficilmente mi vanto di qualcosa, ma la mia voce è riconoscibile. Il voice talent (actor, over pro, doppiatore pubblicitario… sulle etichette c’è parecchia confusione, ma solo in Italia) deve essere duttile: dal documentario alla segreteria telefonica, dal doppiaggio all’audioguida. Se serve una voce, il voice talent c’è.
Ho frequentato i circoli del doppiaggio romano per anni e la tendenza è sfornare voci come polli da allevamento intensivo: tutti uguali, tutti standardizzati. Prima riconoscevi una Cinzia De Carolis o un Ferruccio Amendola per il carisma, non solo per la preparazione attoriale. Infatti, da quei circoli sono fuggita.
Le “belle voci” non esistono. Esistono suoni che prendono e coinvolgono, altri meno. Non c’è una chiave universale. Anche i dinosauri hanno adattato i loro suoni a seconda del contesto e delle necessità. Le “belle voci” non suonano più come ieri e quelle di domani saranno ancora differenti. Sopravviverà chi saprà attaccarsi con le unghie e con i denti alla propria identità vocale. Bella o brutta, davvero l’estetica conta nel nostro primario strumento di comunicazione?
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La canzone parlata sta superando quella cantata?
La canzone parlata ha origini antiche e affonda le sue radici in diverse tradizioni musicali e teatrali. Già nel teatro greco si trovano esempi di declamazione ritmica accompagnata dalla musica, una tecnica che, attraverso il Medioevo e il Rinascimento, ha dato vita a forme come il recitar cantando, molto usato nell’opera barocca.
Nel XIX secolo, il melodramma e il teatro musicale hanno continuato a esplorare questa modalità espressiva, soprattutto nei recitativi, che fungevano da momenti di narrazione tra le parti cantate. Ma fu nel primo Novecento che la canzone parlata assunse una forma più definita, grazie all’influenza dell’avanguardia. Arnold Schönberg, con Pierrot Lunaire, codificò una tecnica chiamata Sprechstimme, in cui la voce si muove a metà strada tra canto e recitazione.
Parallelamente, nelle comunità afroamericane, il blues sviluppò forme di canto quasi parlato, come il talking blues, reso celebre da Woody Guthrie e Lead Belly. Anche in Europa, la canzone francese con artisti come Jacques Brel e Édith Piaf utilizzava spesso una vocalità più recitativa. Negli anni ’60 e ’70, la canzone parlata si diffuse ulteriormente con il folk di Bob Dylan e il rock di Leonard Cohen, fino ad arrivare all’hip-hop e alla trap.
Rap e trap non si sono inventati niente. Una rosa conserverebbe il suo profumo anche senza quel nome. Fondamentalmente, l’espressione vocale è musica, anche nel parlato. Da sempre. La poesia in Fedez non ha meno dignità della poesia in Guccini. Per dire.
Quali sono i temi di cui preferisci parlare?
Musica e cinema. Mi sto laureando in DAMS apposta. Per parlare di qualcosa, bisogna conoscerne ogni aspetto, anche i più noiosi. A lungo mi sono occupata di cronaca rosa: immediata, furba, minima spesa e massima resa. Poi arriva l’età della ragione e capisci che ciò di cui parli e come ne parli ti qualifica.
Parlare parlo, ma ascolto e leggo come una compulsiva. Un ex fidanzatino mi ha fatto scoprire Il giuoco delle perle di vetro di Hesse. Uno degli insegnamenti principali è il conflitto tra sapere teorico e vita vissuta. Magari non salverò il mondo, ma ogni tanto chi mi segue mi ringrazia per averlo introdotto al “giuoco”. Le porte aperte sono più stimolanti di quelle chiuse a doppia mandata.
Hai partecipato come role model di Valore D – Inspiring Girls. Cosa vorresti ispirare alle donne?
Ho partecipato con l’obiettivo di far conoscere il mondo della produzione audio al femminile, un settore ancora considerato maschile. Ho raccontato storie di produttrici come Susan Rogers, Imogen Heap, Emily Lazar e Sylvia Massy, per dimostrare che il talento femminile può eccellere anche in un ambiente storicamente dominato dagli uomini. Il suono, la musica e la voce sono strumenti di espressione potentissimi. Il mondo dell’audio ha bisogno di nuove prospettive, creatività e innovazione
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