Diretto da Muriel e Delphine Coulin
con Vincent Lindon, Benjamin Voisin e Stefan Crepon
Dal 27 febbraio nelle sale
Vincent Lindon è un attore a sé nel panorama francese (e forse europeo). La sua presenza in un film ne garantisce un rigore politico, la sua è una militanza d’altri tempi capace di affrontare tematiche sociali dove non manca il coraggio di sostenere un cinema innovativo come era accaduto per il tanto discusso Titane, Palma d’oro a Cannes nel 2021.
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Vincent Lindon si distingue nel cinema d’impegno come dimostrano tre importanti opere sul mondo del lavoro, a firma Stéphane Brizé, che l’hanno visto grande protagonista: La legge del mercato, In guerra e Un altro mondo.
Il cuore dell’ultimo film è racchiuso nei titoli, ciascuno a suo modo perfetto. In Italia Noi e loro, in Francia Jouer avec le feu, per il mercato internazionale The quiet son (Il figlio tranquillo). Tre aspetti ugualmente importanti della storia che si svolge a Metz, nel nord della Francia, in Lorena, regione assieme all’Alsazia a lungo contesa fra la Francia e la Germania, in una lotta secolare. Una lotta che ha provocato guerre sanguinose e ha spinto gli abitanti di quelle regioni a una ricerca ossessiva di identità che non a caso emerge anche in questo film: quando si inizia a dire in qualunque forma “Noi e loro”, si pongono le basi di un contesto in cui qualcuno è diverso da noi e quindi meglio (o peggio). Condizione che inevitabile fa sorgere un conflitto, tanto più nefasto quanto più si “gioca col fuoco”.
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Lo scontro può nascere anche in una bella famiglia, dove a un figlio tranquillo (e in qualche misura perfetto, in linea con le aspirazioni paterne) se ne contrappone uno ribelle.
Il magnifico Lindon che sfrutta la sua fisicità proletaria dà volto, corpo e carattere a Pierre, un padre single (la moglie è morta anni prima) operaio delle ferrovie che non ha mai lesinato le forze sul lavoro e con i colleghi. Ha molti amici, quasi tutti compagni di fatiche e compagni anche in senso più stretto, ha militato a lungo come sindacalista ed ora in là con gli anni, ha lasciato la prima linea ai più giovani anche perché si dedica ai due figli, Fus e Louis, molto legati fra di loro ma molto diversi.
E questo è il primo interrogativo a cui giustamente il film non risponde: perché due ragazzi, educati nello stesso modo, possono crescere con caratteri dissimili? Louis rispecchia le convinzioni paterne, studia, è bravissimo, viene accettato alla Sorbona e si prepara alla vita parigina. Fus è invece insofferente, dedito al culto del corpo, fra tatuaggi, sport di combattimento e rabbia, e frequenta proprio quella gente che il padre ha sempre considerato il nemico di classe.
I segnali ci sono e li colgono sia il fratello che il padre allertato anche dai compagni di lavoro, ma intervenire non è così semplice.
Il padre, e quanto è bravo Lindon a esprimere la forza e la disperazione, capisce che il figlio è troppo inquieto e sta giocando col fuoco. Lo segue, lo controlla, ha la conferma che sta frequentando gente pericolosa, ma è incapace di trovare un varco per la comunicazione. Sente che il ragazzo si sta allontanando ma è consapevole della propria impotenza.
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Non basta l’affetto, non basta quel cameratismo tutto maschile che ha instaurato coi figli, non è sufficiente andare allo stadio e tifare tutti assieme: cosa servirebbe? Cosa potrebbe fare d’altro? Impossibile scoprirlo.
Le regista non si lasciano tentare da facili giudizi né da altrettanto facili condanne, tantomeno indicano soluzioni. Perché forse non ci sono.
Ed ecco che da una storia privata, con tutta la potenza di una tragedia greca, si arriva a una tragedia più grande, quella dei nostri grami tempi, anni in cui troppo spesso si dice “noi e loro”. Ed è da qui che possono nascere le peggiori tragedie, non solo personali ma anche storiche.
Un film da mostrare nelle scuole, un film da andare a vedere con i figli e i nipoti. Insomma un bel film che mai cede a facilonerie ideologiche. Meritata per Vincent Lindon la Coppa Volpi all’ultima mostra di Venezia.