Regia di Guan Hu
Con Zhangke Jia, Jing Liang, Eddie Peng
Uscita 27 febbraio
Cina Nord-Occidentale, una città fantasma ai margini del deserto del Gobi. Fabbriche abbandonate, case diroccate, a breve la zona verrà completamente bonificata per un nuovo piano urbanistico, in vista dei giochi olimpici del 2008. Un territorio di confine, una zona di confine, un uomo in bilico. Film in sottrazione, ricco di simboli mai esibiti, come una leggenda che prende forma nel mondo di oggi.
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Lang, un giovane uomo forte e silenzioso, il tipico antieroe, appena uscito di prigione per un crimine che si scoprirà nel corso della storia, fa ritorno nella sua città natale. Se per la legge ha pagato, gli uomini però covano ancora rancori nei suoi confronti. E dovrà difendersi.
Gli spazi sono a perdita d’occhio, le montagne brulle, il deserto è non solo nel paesaggio ma anche nei cuori. Molti hanno abbandonato il villaggio, chi è restato, spera di trovar lavoro e una nuova vita nella ricostruzione. Lang trova occupazione come accalappiacani, perché la città è percorsa da branchi di cani randagi: chi se n’è andato ha abbandonato gli animali che si sono inselvatichiti, seminando il terrore del contagio per la rabbia.
Senza entusiasmo e senza scambiare parola con nessuno, Lang entra nella squadra, ma non fa per lui, anche perché viene subito conquistato dal più selvaggio degli animali, un fiero black dog. Che diventerà il suo inseparabile compagno. Contro tutto e contro tutti.
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Un legame inscindibile e mistico, una coppia che potrebbe trovare spazio nella mitologia cinese, un uomo e il suo animale totemico in un mondo in trasformazione.
Una trasformazione che ha travolto la Cina negli ultimi decenni e che avrebbe avuto bisogno di secoli e non di anni, un’accelerazione che non ha dato a nessuno il tempo per capire e adeguarsi.
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Campi lunghi, paesaggi spogli, crolli, bonifiche, mute di cani e gli animali dello zoo, abbandonati come il resto del piccolo universo locale, fra di loro una magnifica tigre che sembra avere trovato col regista un’intesa speciale. Come quella fra il protagonista (un ginnasta molto famoso in Cina) e il cane nero, di regale portamento. Una sola donna, in un ruolo secondario ma cruciale, per un film che poggia quasi interamente sulle spalle del protagonista.
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Di ampio respiro, di ampi spazi, di sentimenti eterni, con un sottofondo metafisico che però non appesantisce mai la narrazione, anzi la rende, fotogramma dopo fotogramma, sempre più intensa, fino all’arrivo “fatale” di un’eclisse (davvero c’era stata all’epoca) che rende ancora più ipnotica l’intesa fra uomini e animali. Eclisse, come potente segno di cambiamento.
Meritatissimo il premio a Cannes come miglior film nella sezione Un certain regard.