In Italia cresce il numero di donne ai vertici aziendali, ma la maternità resta ancora troppo spesso un ostacolo alla carriera. Tra numeri record e paradossi, ecco come sta cambiando il volto della leadership al femminile
Se da un lato l’Italia si distingue positivamente con il 36% di donne che ricopre posizioni manageriali e di rilievo, superando addirittura la media dell’Eurozona (35%), secondo i dati dell’ultimo report “Donne e lavoro in Italia” della Rome Business School, la strada verso la parità di genere resta in salita. Il report Women in Business 2024 di Grant Thornton evidenzia da un lato uno scenario incoraggiante con una presenza femminile nelle posizioni apicali che è più che raddoppiata a livello globale nell’ultimo ventennio, passando dal 19,4% del 2004 all’attuale 33,5%. Ma la realtà è più complessa: solo il 28% delle posizioni manageriali complessive è ricoperto da donne, percentuale che si assottiglia ulteriormente al 18% quando si parla di ruoli regolati da contratti dirigenziali.
Il paradosso italiano emerge in tutta la sua evidenza quando si allarga lo sguardo al mercato del lavoro nel suo complesso. Con un tasso di occupazione femminile del 51%, contro il 69% degli uomini, il nostro Paese si posiziona agli ultimi posti in Europa, ben distante da Germania (75%), Francia (68%) e Spagna (64%). Un divario che si acuisce drammaticamente nelle regioni meridionali, dove l’occupazione femminile precipita sotto il 40%.
La maternità resta il principale spartiacque nella carriera delle donne: dopo la nascita di un figlio, il 16% delle donne abbandona il lavoro, contro appena il 2,8% degli uomini. Un fenomeno che rivela quanto il peso della conciliazione tra vita professionale e familiare continui a gravare principalmente sulle spalle femminili.
“È un tema culturale che investe l’intera società – interviene Laura Basili, co-founder di Women at Business, innovativa piattaforma di matching professionale al femminile – Spesso quando una donna pensa alla gravidanza, si trova di fronte a un bivio: sacrificare la carriera o rinunciare a una presenza significativa nella vita dei figli. In realtà questo non dovrebbe accadere. E’ vero che, come è stato per me, diventare genitore ti costringe a rivedere le priorità professionali, ma questo può aprire la strada a nuove opportunità maggiormente in linea con i valori e gli obiettivi legati anche alla genitorialità”.
Aggiunge Ilaria Cecchini, co-founder di Women at Business, “a volte quello che il mondo del lavoro non comprende è come la maternità possa arricchire una donna anche dal punto di vista professionale. Avere tre figli mi ha permesso ad esempio di acquisire maggiori competenze nella gestione delle negoziazioni, nel problem solving, adattandomi a diverse esigenze e personalità. Non esiste una formula magica per trovare il giusto equilibrio tra lavoro e famiglia, esiste la possibilità di fare coesistere questi due aspetti della nostra vita ogni giorno avendo anche il sostegno e l’aiuto di chi ci sta vicino”.
Infatti, fattori strutturali, come la carenza di misure di politiche attive adeguate e servizi di welfare efficaci, rappresentano spesso un ostacolo nella carriera professionale delle donne. La presenza femminile ai vertici delle società è ancora limitata, solo una su sei. Un dato che migliora di anno in anno ma che evidenzia come, nei ruoli dove si prendono le decisioni strategiche, le donne siano ancora in minoranza.
“La maternità non è solo una sfida da conciliare con il lavoro, ma un’esperienza che può arricchire inaspettatamente anche la vita professionale – sostiene Giorgia Merlo, Head of Event Excellence in Kampaay, dove guida un team di oltre 15 event expert – Nel mio caso, ha completamente rivoluzionato il mio approccio alla leadership e alla gestione del tempo. Ma non basta adattarsi individualmente. Come società, dobbiamo ripensare il modo in cui concepiamo il rapporto tra genitorialità e carriera.
Non si tratta solo di offrire flessibilità oraria, ma di creare una cultura aziendale che veda la genitorialità come un’esperienza che arricchisce le competenze professionali. La capacità di gestire più priorità, la pazienza nel costruire relazioni, l’empatia nel gestire un team: sono tutte ‘soft skill’ che la genitorialità aiuta a sviluppare”.
Se il divario di genere è ampio in tutti i settori, compresi quelli bancario, assicurativo e dei servizi, dove si tende a credere che vi sia un migliore bilanciamento di genere, risulta migliore la situazione nel mondo Life Science dove la presenza femminile nei ruoli manageriali supera la media nazionale (47% vs. 34%).
“Conciliare il lavoro con la vita familiare e la gestione dei figli rappresenta una sfida impegnativa ma possibile se c’è comprensione, organizzazione e collaborazione all’interno del nucleo familiare. Secondo la mia esperienza, la famiglia e l’impegno nella sua gestione, arricchiscono anche l’esperienza professionale, insegnandoci a ricercare per esempio la qualità del tempo che dedichiamo, sia al lavoro che alla famiglia – è l’opinione di Silvia Nencioni, Presidente di Omeoimprese, l’associazione di categoria del settore omeopatico – Le donne si trovano spesso a dover scegliere dove concentrare maggiormente le proprie attenzioni, sul lavoro o sulla famiglia. Una scelta che, inevitabilmente, implica dei compromessi.
È necessario andare verso una direzione di conciliazione e di enfatizzazione della possibilità di essere madri e allo stesso tempo impegnate professionalmente; per esempio, per la mia esperienza, la maternità potenzia abilità fondamentali come ascolto e comprensione, la comunicazione e l’organizzazione, qualità che risultano altrettanto utili nel contesto lavorativo”.
Studi professionali: una storia di crescita costante al femminile
Nei primi nove mesi del 2024 le professioniste sono aumentate di quasi 50 mila unità, raggiungendo quota 530 mila. Un trend che consolida una trasformazione iniziata anni fa: dal 2009 al 2023 le donne nelle professioni sono cresciute del 49%, con un incremento di 157.500 unità, mentre nello stesso periodo gli uomini sono aumentati solo del 6,5%. Ma anche in questo settore, come emerge dallo studio “Le donne nella libera professione in Italia” dell’Osservatorio delle libere professioni, la maternità resta un nodo cruciale.
“Ho sempre creduto che l’impegno e la determinazione dovessero contare più di qualsiasi altro fattore. A 30 anni ero la dirigente più giovane in un’azienda che valorizzava il potenziale femminile, ma quando sono diventata madre ho capito quanto fosse difficile conciliare carriera e famiglia – commenta Mascia Cassella, name partner dello studio Masotti Cassella, madre di due figli e maestra di yoga. “Dopo la maternità non volevo rinunciare alla mia crescita professionale, ma sentivo anche il bisogno di costruire qualcosa di mio. Diventare imprenditrice di me stessa è stata una scelta naturale. Devo però constatare che ancora oggi spesso mi trovo ad essere l’unica donna o tra le poche in consessi prevalentemente maschili”.
Il dato più allarmante contenuto nell’Osservatorio delle libere professioni riguarda il supporto alla genitorialità: il 74% delle professioniste non usufruisce di misure di sostegno, principalmente per mancanza di informazione. Quasi la metà delle intervistate, infatti, non è a conoscenza degli strumenti disponibili. E quando le misure sono note, vengono giudicate inadeguate da quattro donne su cinque. Un paradosso che vede le professioniste conquistare sempre più spazio nel mercato del lavoro, ma ancora prive di un sistema di welfare capace di sostenerne realmente la crescita professionale e personale.
“Ancora oggi, nel 2025, conciliare la vita da mamma con quella lavorativa presenta molte sfide, ma grazie ad una cultura più attenta ai bisogni delle neomamme, alla tecnologia che ci permette di lavorare anche da remoto, con un po’ di flessibilità e qualche sacrificio ce la si fa – racconta Francesca La Rocca, partner dello studio legale Sena & Partners – Personalmente, in quanto libera professionista, ho dovuto rinunciare alla cosiddetta ‘maternità canonica’, rimettendomi a lavorare dopo poche settimane dal parto, però ho potuto farlo da casa e adattando, quasi sempre, il lavoro ai ritmi della mia bambina. Di questo devo ringraziare anche i miei colleghi che si sono sempre dimostrati comprensivi e attenti ai miei bisogni, ma purtroppo non in tutti i luoghi di lavoro è così”.
Si aggiunge Silvia Cossu, partner dello studio legale LEXIA, a capo del team di litigation & arbitration, per cui “Maternità e carriera professionale possono convivere, ma – come almeno io ho imparato ad accettare – non è una convivenza facile.
Si ha sempre la sensazione di privare qualcuno di qualcosa: che sia il cliente o i figli o il partner o gli amici, e probabilmente è così, e non ci sono soluzioni per queste rinunce. La soluzione è nell’apprendere e nell’insegnare come gestirle, affrontarle non come una perdita ma come una conquista. In occasione delle mie frequenti trasferte, ad esempio, dico ai miei bambini che devo partire, che tornerò e che vado a fare una cosa bellissima, come quando li accompagno a scuola. Il distacco non deve essere associato a sofferenza e tristezza, ma al passo di un percorso circolare. Un tema molto sentito e che sarà sviluppato nell’incontro che abbiamo organizzato in studio il 5 marzo, una ‘colazione al femminile’ dove condividere esperienze e discutere di come riusciamo a conciliare maternità e carriera”.