Unite in sorellanza per sapersi riconoscere
L’otto marzo non è una festa ma è tempo di bilanci e giornata di lotta utile per guardarsi attorno e tornare a riconoscere e riconoscersi tra donne. Un momento di gratitudine e non di divisione, come quella che osserviamo ultimamente. Eppure di motivi per stare strette e unite ce ne sarebbero. Ci sono pericolosi attacchi in tema di percorsi per l’affettività e la sessualità nelle scuole, ci sono grandi problemi mai risolti sul fronte occupazionale femminile, ci sono i temi della violenza maschile contro le donne e l’introduzione del reato di femminicidio, ci sono i servizi pubblici territoriali e locali a rischio e sempre più depotenziati, tra cui quelli che riguardano la Salute o la Scuola.
La situazione
Se il sistema economico nel suo complesso sembra migliorare stando alla narrazione governativa, a beneficiare sono gli uomini, perché secondo l’Istat: «Dal 2008 al 2024 l’incremento del tasso di occupazione delle donne è di 6,4 punti. Una crescita dovuta soprattutto al segmento delle ultra cinquantenni: mentre l’aumento per le over 50 raggiunge i 20 punti, per le 25-34enni si ferma a 1,4 punti. Nel dettaglio il tasso di occupazione tra le donne tra 20 e 49 anni con almeno un figlio con meno di 6 anni, nel 2023 era del 55,3% (la media europea si attesta al 69,3%, secondo Eurostat), mentre per i giovani padri è al 90,7%.
Sono aumentati i contratti a tempo indeterminato, ma le donne rimangono inchiodate al part time involontario, a lavori meno qualificati e remunerati. Infatti, per quanto riguarda i salari, nel 2022 le donne laureate hanno guadagnato in media il 16,6% in meno rispetto ai colleghi» (dati fonte Il Manifesto, articolo di di Luciana Cimino). In media il gender pay gap è del 20%.
Siamo ingabbiate in un mercato del lavoro che ci penalizza su tutti i fronti come ha evidenziato anche Linda Laura Sabbadini. “Abbiamo la maglia nera in Europa per tasso di occupazione femminile. Siamo ultimi. Abbiamo il primato con Romania e Grecia per coppie monoreddito maschile: un quarto delle donne conviventi fino a 54 anni contro il 10 per cento della Francia. Le donne sono più intrappolate nella disoccupazione di lunga durata, nell’inattività per motivi familiari e nel part-time, soprattutto quello involontario. E sono penalizzate non solo nell’accesso al mercato del lavoro, ma anche nella permanenza e nei percorsi di carriera. Se sono madri ancora di più, il loro è un vero percorso a ostacoli, molto faticoso.”
Questo comporta che il rischio di povertà per le donne sia superiore di almeno due/tre punti a quello degli uomini (secondo il Gender Equality Index degli ultimi anni). Con evidenti ricadute anche in termini pensionistici. Se guardiamo poi alla composizione delle famiglie sempre più monogenitoriali, il rischio povertà è sempre più evidente e allarmante e non è sufficiente lavorare per metterci al riparo. E questo con gravi differenze territoriali tra Nord e Sud.
Ma se una donna su cinque abbandona il lavoro dopo il primo figlio e una su due dopo il secondo, cosa si può fare? Sicuramente occorre un cambio di cultura aziendale, maggiori servizi all’infanzia e una cura realmente condivisa con i padri. Ci vuole una reale libertà di scelta delle donne. Occorre andare oltre i bollini di certificazioni di genere solo di facciata e bonus una tantum che non cambiano la situazione radicalmente e strutturalmente, come invece abbiamo bisogno di fare.
Come se ne parla
Quando gli uomini parlano di questi temi è sempre assente il tema della scelta obbligata che attanaglia le donne, per questo ci vuole anche un cambio nel racconto delle vicissitudini che attraversano le donne. Siamo stanche dell’ottica neutrale maschile. Siamo stanche del racconto patriarcale e paternalistico che solitamente viene fatto dagli uomini guarda caso a ridosso dell’8 marzo. Quindi fuori da ogni retorica, per fare qualcosa di concreto, oggi sarò a un incontro proprio con donne in contesti fragili, con carichi di cura, che vogliono e hanno bisogno di tornare nel mondo del lavoro. Ascoltare in primis. Accompagnarle e affiancarle in questo rientro è importante e fondamentale.
La relazione tra donne va assecondata e riportata a nuova vita, abbiamo bisogno di combattere la solitudine e l’individualismo. I gruppi di autocoscienza hanno animato tanto il femminismo degli anni Settanta, oggi occorre ritornare su quei passi se non vogliamo disperdere il nostro sapere di donne sapiens, come sostiene Daniela Pellegrini.
Non sopporto il rumore di fondo dei commenti sotto l’8 marzo che parlano di donne poco flessibili e disponibili o adattabili. Abbiamo una differenza importante, esperienze di rilievo, studi alle spalle che non vanno mortificati e sminuiti, tutte potenzialità che non vanno assolutamente rimosse, ma va valorizzate, perché le nostre esperienze di maternità e di messa al mondo di progettualità differenti sono un valore aggiunto, una potenzialità di cui il mondo del lavoro non può fare a meno, pena la stagnazione.
Questo Paese ha bisogno di schiodarsi dalle ultime posizioni europee in termini di partecipazione al mondo del lavoro. Questo Paese deve dare voce alle donne e alle loro esperienze reali, che significa ritornare a uno sguardo politico, collettivo ai problemi. Di fronte a queste sfide non si può camminare disunite, pena il sacrificio delle più povere e più fragili tra noi. Fino a quando nei cortei non ci saranno in prima fila le donne, le madri che faticano ad arrivare a fine mese, che hanno i figli in comunità, che si barcamenano tra mille lavori precari o in nero e sono sfruttate e emarginate dal discorso mainstream, io non penso che si ridurranno i divari. Io non voglio più partecipare a lotte intestine, non ho forza e tempo.
Riconoscenza
Ma come dicevo all’inizio, oggi è il tempo di riconoscere chi tra noi ha dato tanto, quanto si è dato all’emancipazione femminile, ai diritti delle donne, riconoscersi tra donne, senza esclusioni o tentativi di mettere da parte alcune di noi. Riconosciamoci e diamoci un abbraccio in sorellanza, oltre le divisioni, oltre gli argomenti che ci separano. Oggi, vanno visti in faccia tutti i sacrifici, le discriminazioni, gli attacchi, i pericoli che ci sono e vanno fronteggiati. Oggi occorre riflettere su dove vogliamo arrivare e con quale bagaglio di sapere e di esperienze farlo. Poter incidere sulla società, nei luoghi decisionali, non uscire dal mondo del lavoro, sono sfide aperte che interessano tutte noi, senza separazioni o diktat di espulsione. I femminismi nella loro molteplicità hanno la chiave di lettura della società e dell’economia per poter cambiare radicalmente l’assetto attuale. Ma non possiamo fermarci ed escludere pezzi di noi.
Partecipazione e prendere parte
La partecipazione è fondamentale per tutte, senza rinunciare al nostro pensiero. E soprattutto torniamo a parlare in ascolto reale e in armonia tra noi, senza pregiudizi e stereotipi, ma soprattutto guardando in faccia i rischi di una separazione tra noi. Io sono arrivata al femminismo grazie a tante donne che mi hanno preceduta, e non è vero che non c’è stata trasmissione di esperienze, perché noi tutte dobbiamo essere riconoscenti e trovare la nostra strada, unica e preziosa. Per quanto riguarda la partecipazione, dobbiamo spingere quante più donne possibili a riprendere in mano il loro destino e essere parte attiva del cambiamento.
Mettiamoci con lo sguardo dalla parte di chi ha smesso di lottare perché oppressa e discriminata nel profondo e nelle vite reali di tante donne che non camminano più unite e che non si sentono parte di un discorso e dialogo tra donne. Diamo loro la forza e la voce, cerchiamo di non mettere in difficoltà le donne che non ce la fanno e che si sentono distanti dalla lotta per i diritti. Includiamo e mettiamoci in ascolto, permettiamo alle donne che sono rivittimizzate non solo dalle istituzioni e isolate, di far parte del nostro comune cammino di cambiamento. Senza di loro nessun corteo sarà inclusivo, senza le tante donne che non ce la fanno per vari motivi e in vari contesti, senza coloro che non hanno più voglia di perdersi dietro questioni elitarie e poco comprensibili.
Oggi voglio diventare una donna migliore, vorrei provare a trarre ispirazione dalla nostra Katia Menchetti che ci ha lasciate da poco e che ha sempre testimoniato il dialogo e l’importanza del lavoro reciproco e fruttuoso tra donne. Oggi il mio 8 marzo lo dedico a lei e alle donne come lei. Testimonianze reali di una politica delle donne veramente preziosa.
Riempiamo di voci il silenzio che sottile opprime le donne e le vuole riportare indietro. Unite anche per preparare e costruire la pace, dicendo la nostra anche su questo pericoloso ritorno al bellicismo e al riarmo europeo.