Scritto e diretto da Dag Johan Haugerud
con Ane Dahl Torp, Selome Emnetu, Ingrid Giæver, Anne Marit Jacobsen, Ella Øverbye
Ho pensato spesso al monologo di Molly Bloom dell’Ulisse di Joyce. Perché anche Johanne come Molly si racconta in prima persona con un torrenziale flusso di coscienza in cui cerca di andare sempre più a fondo delle sue emozioni. Ma se nell’adulta Molly c’era molto sesso (ed era un romanzo straordinario, pietra miliare del nuovo), qui ci sono soprattutto sentimenti e siamo in un film. Anche se il regista e sceneggiatore è uno scrittore che crede molto al potere della parola.

Tutta la prima parte di Dreams è l’introspezione di Johanna che percepisce il cambiamento del suo corpo, il nuovo vibrare delle emozioni. Le nuvole non sono più quelle che vedeva fino a qualche giorno prima, e tutto il mondo intorno a lei sembra tingersi di una sensualità incontenibile. Qualunque dettaglio, qualunque alito di vento la emoziona in un modo che non sa spiegarsi. È l’irrompere della vita dell’adolescenza che esalta non solo l’amore ma anche la creatività e la poesia. Tutta la prima parte del film, scritta con prosa alta, va sempre più nel profondo per cercare di esprimere con parole il vibrare di un corpo, un’anima, una mente e un cuore in piena trasformazione. E le immagini seguono, lente, ipnotiche, prendendo tutto il tempo che richiede un viaggio intimo di tale profondità. Ed è questa la parte più sperimentale e più nuova del film ed è quella che mi ha affascinato di più.

Poi, tutto il turbine impalpabile e così difficile da fermare in parole trova un oggetto su cui riversarsi: non lo capisce subito la nostra Johanna, ma a un certo punto si rende conto che la risposta al suo bisogno desiderante è la sua nuova insegnante. E con discrezione riesce a frequentarla.
Nella svolta più narrativa il film diventa più tradizionale. Johanna vede la sua insegnate saltando le lezioni di danza, non dice nulla in casa, continua a scrivere per cercare di capire quello che le sta succedendo. Anche perché fermare su carta la vita fa sì che anche l’impossibile sembri reale.

Il regista con delicate acrobazie visive e di aprola si mantiene sempre su un territorio ambiguo dove seguendo il racconto onirico di Johanna è difficile scindere la realtà dal sogno (Dreams è il titolo, non dimentichiamolo). Sarà ugualmente difficile capirlo per la madre e la nonna (una poetessa) che leggeranno lo scritto di Johanna.
Non voglio raccontare di più di questo film leggero come un petalo che riserva anche momenti per il sorriso, come quando la madre di Johanna rimprovera alla sua di madre di non averle mai fatto vedere Flashdance, considerato pericolosamente antifemminista e squalificante per le battaglie degli anni Settanta.

Il film affronta in modo acuto le relazioni fra le tre donne in una famiglia tutta al femminile e dà spazio a tematiche attuali come le molestie. Un film queer? Per niente, perché quando la madre definirà lo scritto della figlia queer, lei la guarderà stupita. La vita, per fortuna, è molto più ricca di tutte le etichette che gli ingenui vogliono appiccicarle. Nessuna definizione è adeguata per qualcosa di così intenso come la vita, la creatività, l’amore.
Nel suo ambizioso progetto (Dreams fa parte di una trilogia i cui primi titoli sono Sex e Love) il regista riesce a conservare sempre il controllo su una materia così scivolosa come le emozioni.
Orso d’oro – meritato – all’ultimo Festival del cinema di Berlino.