Scritto, diretto e interpretato da Valerio Mastandrea
con Valerio Mastandrea, Dolores Fonzie, Lino Musella, Giorgio Montanini, Barbara Ronchi, Justin Alexander Korovkin, Luca Lionello e con Laura Morante
nelle sale dal 27 marzo
Il patto è dichiarato fin dalle prime scene: lo spettatore deve credere a quello che il regista sta raccontando. Perché da subito il regista Mastandrea filma l’attore Mastandrea in un ospedale, fra camere e spazi esterni in piena libertà. Parla con poche persone perché è invisibile a tutti gli altri e può quindi partecipare a un funerale, far visita a un malato, sedersi su una sedia a rotelle e farsi trasportare da un infermiere ignaro, infilarsi all’ultimo momento in un ascensore, osservando non visto le vite degli altri.

Il protagonista e quei pochi con cui interagisce sono allora fantasmi? Anime trapassate? Angeli custodi? Lo si capisce presto, e quindi posso rivelarlo: sono gli spiriti, il “distillato emotivo” dei malati senza coscienza (ma potete scegliere voi la definizione che preferite).

Sono le “anime” di chi è appeso a un filo: qualcuno fra loro tornerà in terapia intensiva, qualcun altro si risveglierà e ci sarà anche chi saluterà per sempre la vita terrena. Quelle di cui seguiamo i discorsi e le azioni sono essenze sospese in un limbo dove la vita piena di limiti e di censure è un ricordo lontano. Nella nuova dimensione sono spettatori invisibili e liberi.
Una condizione giocosa ma transitoria che induce chi la attraversa a riflessioni profonde, a una ricerca della verità ultima dell’esistenza, e sottotraccia la percezione incombente e rimossa di galleggiare in un tempo provvisorio.

Il secondo film da regista di Valerio Mastandrea parte da questa idea bellissima, magica ma laica, non sfiorata dal misticismo e tantomeno dalla religiosità. Una favola che aspira all’eternità ma che si accontenta di sognare e sperare. Film attraversato dal dolore sottile della perdita e della fine, che il regista dedica al padre Alberto, scomparso dieci anni fa. Un film che si interroga sulla vita e sulla sua inevitabile conclusione, affrontando quel momento affacciato sull’ignoto dove Mastandrea sogna che, anche solo pour l’espace d’un matin tutto diventi possibile. Anche innamorarsi.
Perché quello in cui crede o meglio quello che si augura l’autore è la possibilità e forse il diritto all’ultimo scampolo di felicità prima di andarsene da questo mondo.

La storia si snoda leggera, come le corse del protagonista che sembra senza peso, come i suoi salti, anche quelli dove si blocca prima di spiccarli. Una storia aerea come la regia che sembra un minuetto, che danza, e lieve cambia continuamente inquadratura e punti di vista. Leggera come il vento che travolge le anime del limbo quando qualcuno sta per lasciare la vita. Un vento che come una calamita attrae le anime in bilico verso il nulla, una forza magnetica che si può contrastare ma alla quale prima o poi bisognerà arrendersi.
Il regista non offre risposte, si rifugia nella poesia di un’atmosfera onirica, immaginando per ogni personaggio sospeso fra l’essere e il nulla, direbbe il filosofo, una vita piena e curiosa fino all’ultimo istante. Anche in quel tempo sospeso e regalato si resta simili a come si era, magari riflettendo di più, ostaggio di un timore che nella vita materiale veniva rimosso. Le anime in bilico non barano e guardano al mondo con occhi innocenti e incapaci di mentire.

Nonostante i dubbi, nonostante il dolore, nonostante il mistero, nonostante tutto, sembra volerci dire il regista, noi umani siamo qui, vivi, sulla terra e ogni istante è prezioso e rivelatore e merita di essere vissuto e amato.
Quanta poesia, quanto pudore, quanta attenzione e cura in questo sguardo laico, quanta emozione in un film che fa della delicatezza la sua cifra. Girato benissimo, con veloci cambi di inquadratura e un montaggio perfetto per una regia pulita, senza sbavature. Uno sguardo che conserva lo stupore, non ha la presunzione di svelare il mistero e aspira inquadratura dopo inquadratura al sogno. Un film bellissimo.