Un film di Gustav Möller
con Sidse Babett Knudsen, Sebastian Bull, Dar Salim
Siamo abituati a film carcerari d’azione, con rivolte e violenze. In Sons, secondo lavoro di un giovane e bravo regista svedese naturalizzato danese, si mette in campo la forza dell’introspezione e si trasforma la prigione in un palcoscenico teatrale con due protagonisti.
Girato in interni, non si vede mai la luce del sole, ha una fotografia dai toni metallici e una narrazione all’insegna di un rigore calvinista. Un dramma huis clos, che si avvale di due attori straordinari che danno vita a un thriller delle emozioni.

Eva è una donna di mezza età allenata alla freddezza. Volto immobile, svolge il suo lavoro di guardia carceraria in modo impeccabile, instaurando un rapporto di correttezza con i detenuti in cui a tratti lascia affiorare momenti contenuti di protezione materna.
Da un momento all’altro cambia tutto, succede qualcosa che lo spettatore scoprirà molto più avanti (e che non riveleremo): chiede ai suoi superiori di cambiare sezione e di essere assegnata all’ala che ospita i criminali più violenti. Un detenuto ha attirato la sua attenzione e Eva inizia una sottile opera di persecuzione nei suoi confronti, utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione, rendendogli con sadico piacere la detenzione già dura totalmente insostenibile.

Impassibile, mette in campo contro il ragazzo una sequela di perfidie. Il detenuto non riesce a capirne i motivi e vuole vendicarsi, senza peggiorare però la sua già pesante pena.

Controllatissima e ligia al dovere fino a quel momento, Eva eccede nella sua misteriosa vendetta fino a essere sanzionata. Non si arrende e continua la sua opera di persecuzione, più attenta ma sempre più perfida.

La relazione fra la vittima (in carcere per omicidio) e l’aguzzina diventa sempre più stretta e misteriosa e grazie a una regia chirurgica il film raggiunge livelli di tensione quasi insostenibili che mettono a disagio anche lo spettatore più navigato: quale sarà mai il legame fra Eva e il giovane detenuto?

Film di impianto perfetto che, con implacabilità nordica, debitrice delle lezioni di Dreyer e Bergman, regala allo spettatore un dramma intenso e inquietante.